recensioni dischi
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DEPORTIVO  "Domino"
   (2013 )

C’erano un volta i Dèportivo, tre ragazzi di paese amici dall’adolescenza, il sogno di sfondare suonando un rock teso e abrasivo tanto personale quanto diretto ed immediato. C’erano una volta la furia, l’energia dei vent’anni, la lucida follia di chi non ha nulla da perdere e riesce ad esprimersi – pur incidendo per una major - in totale libertà artistica e creativa, senza filtri nè condizionamenti, senza nemmeno porsi il problema di piacere o di puntare a vendere mille copie in più. Da sempre nell’entourage dei Louise Attaque, per i quali aprirono non poche date ai tempi del debutto del 2004 (l’urticante “Parmi eux”), i tre caddero vittime del guru Gaetan Roussel che accettò di produrre il terzo album (lo scialbo “Ivres et debutants” del 2011), di fatto decretandone il rientro forzato in un filone a dir poco mainstream, più pop che rock, una pillola edulcorata che deluse molti dei fan conquistati dalle brusche asperità dei primi due lavori. In questo quarto album i tre ex-ragazzi, giunti ormai alla maturità sia artistica che anagrafica, e fondata una label di loro esclusiva proprietà, cercano di mediare tra le bordate assassine di dieci anni fa (ma un’altra “Paratonnerre” non ci sarà mai...) e le melodie addomesticate del recente passato. Già, perchè la vena melodica non viene meno neanche in questo lavoro ambivalente: ricorrendo al consueto, strabordante impiego di tonalità minori, sfilano su una ribalta scricchiolante dieci tracce brevi come sempre, identiche a sé stesse e vicinissime – per costruzione armonica – a tutto quanto già fatto vedere negli anni scorsi (“Toutes les choses” potrebbe provenire dalle sessions del secondo album), solo con qualche timido azzardo ritmico in più (“Personne n’arrive a l’heure”). Le tastiere prendono campo – ahimè – amplificando ancora di più la tendenza inaugurata su “Ivres et debutants”, di fatto spegnendo parte degli ardori residui sotto una cascata di suoni oramai eletti dal trio (anch’esso allargato) a nuovo linguaggio espressivo. Permangono buone intuizioni (la cavalcata della title-track è irresistibile, ed il languido incedere di “En ville” è quantomeno affascinante) a fianco di episodi decisamente inessenziali (tutta la seconda metà del disco), ed anche se qualche pezzo valido non manca, la direzione sembra oramai segnata: persa la verve, la spontaneità e parte dell’ispirazione di un tempo, i tre ragazzi della via Gluck sono ora tre signorotti un po’ invecchiati, più pacifici e riflessivi, più pigri e indolenti. A me piace ricordarli giovani, arrabbiati, imbronciati e con gli stivali infangati, in un viottolo di campagna che ha ceduto il passo al viale trafficato di qualche scintillante, grande città, fredda e impersonale. (Manuel Maverna)