recensioni dischi
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AFGHAN WHIGS  "Black love"
   (1996 )

Non deve essere stato facile per gli Afghan Whigs di Greg Dulli provare a ricreare l’allure di un album pressochè perfetto come “Gentlemen” e, pur con tutta la buona volontà del mondo, mr. Dulli e la sua banda sono caduti nella trappola più vecchia del mondo, quella della brutta copia. Se da un lato l'energia sguaiata dell’istrionico frontman permane immutata (anzi, se possibile si intensifica, portandolo a soffertissime interpretazioni ad un passo dalla stecca), dall'altro il gruppo riprende la materia studiata nel fortunato predecessore e la rimpasta in un caos pasticcione. La tensione emotiva resta alta e così il sentito trasporto nel cantare di morte ("Crime scene part one", il crescendo chitarristico di "Bulletproof"), di amori malconci in scadenza ("Step into the light", "Summer kiss", "Faded") e di una fosca umanità molto borderline ("Blame, etc."), ma ora a farla da padrona è un'attitudine grunge che riemerge prepotente dalle ceneri del soul-rock incendiario di "Gentelemen". Proprio dall'accoppiata stridente tra un rock fisico e slabbrato (le sassate di "My enemy" e "Going to town" ne sono ottimo esempio) ed il mood soul nasce un disco che offre (pochi) chiari e (molti) scuri, sottolineati e sostenuti da un chitarrismo fracassone, a tratti confusionario. Disco aspro e passionale, sincero ma rivedibile, la cui energia belluina non è sufficiente a mantenerlo ai livelli degli irripetibili fasti del 1993. (Manuel Maverna)