RICKIE LEE JONES "Flying cowboys"
(1989 )
Talentuosa ed attraente drop-out di Chicago, le cui naturali doti musicali furono ampiamente supportate dalla stella di Tom Waits, suo mentore e pigmalione, Rickie Lee Jones è una singolare artista dotata di una voce dal timbro estremamente peculiare, al contempo sensuale e tagliente, capace di passare dal caldo al gelo nello spazio di una strofa, mutando pelle ad ogni canzone. Prodotto nel 1992 da Walter Becker degli Steely Dan, “Flying cowboys” scava le proprie fondamenta nel blues, sebbene si tratti di un blues rivisto e raffreddato, a suo modo destrutturato e legato alle origini dall'interpretazione vocale più che dalle trame. Con una espressività sempre giocata su note alte ed un passo elegantemente indolente, Rickie sciorina in questo rilucente lavoro (peraltro il suo cavallo di ritorno dopo anni di eccessi e di successivo catartico e volontario esilio dalle scene) una serie di brani delicati ed intimi, dalla toccante apertura di "The horses" a "Rodeo girl", dallo strascicato reggae sbilenco di "Ghetto of my mind" al contagioso ritornello easy-listening di "Satellites". Le canzoni si aprono al blues tradizionale (la tensione trattenuta di "Ghost train" su una cadenza waitsiana che non esplode mai), alla lounge raffinata della title-track, allo sperimentalismo appena accennato della conclusiva "Atlas' marker", offrendo ad una platea di nicchia un’interprete di classe cristallina e complessa personalità, affascinante musa sui generis in bilico tra arte e vita. (Manuel Maverna)