recensioni dischi
   torna all'elenco


DEUS  "Worst case scenario"
   (1994 )

Abbagliante disco d'esordio, ricchissimo di spunti e di idee, di questo quintetto belga che negli anni a venire non riuscì più a ripetersi sugli stessi livelli, pur realizzando ancora almeno un paio di album degni di nota (“In a bar under the sea” e “The ideal crash”). A penalizzarli - forse - la confusa eterogeneità della proposta, che colpiva spiazzando: c'erano tutte le premesse per fare di "Worst case scenario" un prodotto capace di creare un connubio tra il classico sound indie ed una strumentazione mitteleuropea infarcita di violini ed atmosfere decadenti. Purtroppo i dEUS non riuscirono mai ad affinare nè a consolidare un sound che ne decretasse l’unicità: nei lavori successivi si limitarono a replicare il clichè perdendo smalto, virando verso lidi già noti, in pratica smarrendosi alla incolore periferia di quel mondo che avevano tentato di cambiare. Ma “Worst case scenario” resta comunque un colpo da maestro, album che inanella una sequenza impressionante di pezzi vibranti, tesi, intrisi di chitarre laceranti che dilaniano tristi melodie con colate di feedback creativo (l'opener "Suds & soda", sventrato dalle urla filtrate di Barman, resta forse il loro manifesto), in un frastuono che si placa nella sbilenca ballata acustica di "Divebomb jingle" o nelle atmosfere languide di "Hotellounge" e "Right as rain", prima di impennarsi di nuovo nella torrenziale cascata elettrica del dramma in crescendo di "Let's get lost", fino alla cadenza pixiesiana di “Via”. Disco a suo modo unico, brillante e pasticcione, teatrale e strabordante, intenso ed umorale come il recitato sbavato di “W.c.s”, sorta di sghemba profezia sci-fi sospesa su un abisso fosco e indistinto. (Manuel Maverna)