DAVID TETARD "J'ai toujours rêvé d'être un groupe de rock"
(2010 )
Io voglio bene a David Tétard. Se fossi sufficientemente benestante da potermelo permettere, lo assumerei a tempo indeterminato: in cambio di uno stipendio adeguato e di vitto e alloggio, gli chiederei di stare seduto nel mio salotto intrattenendomi per sei-otto ore al giorno in sostituzione dell’impianto stereo, che a quel punto potrei relegare in cantina a cuor leggero. Ma nell’attesa del colpo di fortuna che mi regalerà un guadagno facile, David Tétard, piccolo grande cantastorie, potrà continuare a fare il suo mestiere, girando per la Francia con la sua chitarra e poco più, accompagnato qua e là da una banda raccogliticcia di accoliti prestati alla causa, proponendo ai pochi che lo apprezzano il suo repertorio minimale, frutto di quattro album (li ho tutti, ovviamente: preparatevi) e di tanta gavetta di strada. Gli undici brani che danno forma a questo nuovo disco non si discostano di un millimetro dallo stile inconfondibile di David, la cui voce profonda e strozzata – come se faticasse a buttare fuori il fiato necessario a cantare – pennella in punta di chitarra minuscole perle in minore di due-tre minuti, riuscendo a disegnare bozzetti accattivanti resi con partecipato trasporto e palpitante coinvolgimento, mentre la musica fluisce semplice e rassicurante, confortante come una coperta morbida in un gelido inverno, tenue come un soffio di vento tiepido, soffice come schiuma. Di tanto in tanto il ritmo accelera (“L’imprudence”, “On sait ce qu’on perd”, “Faire un tour”), ma senza mai spostare i confini delle canzoni, che restano protette nel loro piccolo splendore entro una fragile campana di vetro. Sono composizioni esili, essenziali, scarne, brevi sogni dai colori chiari ammantati di luce soffusa, come una giornata trascorsa in un grande giardino assolato e deserto senza pensieri nè urgenze, lontano dal clamore e dal rumore del mondo. Mi piace immaginare David Tétard sdraiato in un prato con la sua chitarra mentre strimpella il finto country di “J’ose pas” o mentre con l’amica Cécile Hercule (presente in vari episodi dell’album) dà vita al toccante duetto di “L’amour passe”, o ancora nell’atto di sussurrare la morbida melodia di “L’écume des jours”, lieve come zucchero a velo, impalpabile come una nuvola. Tradotto in voto sarebbe un otto, ma non fateci caso: David Tétard per me vale sempre un otto a scatola chiusa, poco importa cosa stia cantando. The song remains the same, ma è una canzone bellissima. Io voglio bene a David Tétard. (Manuel Maverna)