recensioni dischi
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CAMPETTY  "La raccolta dei singoli"
   (2013 )

Realizzati nell’ultimo decennio numerosi lavori con i moniker di Edwood e Intercity, Fabio e Michele Campetti rilasciano in questo 2013 un album sotto una nuova identità: con l’ironico titolo falso-antologico de “La raccolta dei singoli”, vede la luce l’opera prima dei Campetty, episodio intrigante condannato forse ad un ruolo di secondo piano dal suo ostentato incedere low-profile. Tra echi di Perturbazione (“A nastro”), suggestioni à la Gazzè (“Lungofiume”), e qualche puntata nel repertorio Afterhours più morbido (“Vittoria”), i Campetty partoriscono – dando comunque sfoggio di buona personalità - un disco ben scritto, artistoide quanto basta per emanare fascino anche nel nonsense di testi labirintici (“The muffa forest”), un disco discretamente arrangiato e prodotto al quale difettano forse un po’ di coraggio e un briciolo di cattiveria per irrobustire un sound scarno e schiacciato, ma comunque composto di brani la cui concisione non può che giovare alla complessiva fruibilità del lavoro. “La raccolta dei singoli” è album ricco di spunti, dotato di una risorsa sovente gradita ed apprezzabile a prescindere: ascoltando ogni brano per la prima volta, non si è in grado di prevedere cosa riserverà la prossima traccia. Tra ballate aggraziate ed un generale andamento laid-back, si fanno largo spunti notevoli, dal rallentamento cadenzato di “Brasilia” al mirabile mid-tempo de “Il parco dei principi”, dalla trasognata “Mariposa gru”, aggrappata ad una toccante fisarmonica ed impreziosita dalla voce suadente di Sara Mazo (Scisma), alle suggestioni Violent Femmes di “Cowboy blues”, fino all’elettropop gentile di “Nuoto dorsale” col suo ritornello immediato. In cotanta brillantezza, la sola pecca evidenziabile – purtroppo non indifferente – è forse da ricercare nello stile di canto di Fabio, piuttosto lineare e sottotono, privo di impennate e fin troppo garbato per consentire ai pezzi di lievitare come potrebbero; l’impatto attutito generato da questo registro spento conduce ad un inopinato appiattimento dei brani, che giungono talvolta fiaccati anzichè potenziati ed amplificati, con l’esito finale attenuato, smorzato, ridimensionato dalla peculiare, rivedibile scelta espressiva operata. Le canzoni non mancano: sull’interpretazione e sull’incisività del suono i Campetty hanno enormi margini di crescita. (Manuel Maverna)