IL MURO DEL CANTO "Ancora ridi"
(2013 )
''Ancora ridi'' è il titolo del secondo disco de Il Muro del Canto. Dopo il successo de ''L’Ammazzasette'' (Goodfellas, 2012), la band romana propone un album dalle sonorità più ruvide e marcatamente rock rispetto al precedente lavoro, senza tuttavia perdere né l'approccio cantautorale, né quello narrativo. Il missaggio è stato affidato all'esperienza di Tommaso Colliva (Muse, Afterhours, Calibro 35), che lo realizza mescolando il dialetto romano con chitarre rubate alla migliore tradizione d'oltreoceano, atmosfere western in stile Morricone e una fisarmonica spiccatamente folk, creando un impasto sonoro che conferma il sound originale e già distintivo della band. La scelta del dialetto romano odierno è strettamente legata alla volontà di eliminare artifici linguistici che alterino il pensiero, affidando le liriche e i racconti all’espressione comunicativa dialettale più diretta e sincera. La voce è quella calda e profonda di Daniele Coccia, che trascina l'ascoltatore nel suo mondo a tinte scure; alle percussioni, alla batteria e alla voce narrante c'è Alessandro Pieravanti che, caratteristica fondamentale consolidata nei live e nel precedente lavoro, alterna alle liriche racconti musicati, creando intensi momenti di storytelling. Ai cori e alla chitarra elettrica ruvida e graffiante c'è Giancarlo Barbati Bonanni, alla chitarra acustica troviamo le ritmiche incalzanti di Eric Caldironi, al basso la solidità di Ludovico Lamarra e alla fisarmonica le melodie senza tempo di Alessandro Marinelli. Unico ospite all'interno del disco è l’inconfondibile violino di Andrea Ruggiero (Operaja Criminale). Il risultato è un album che, come da titolo, si pone in maniera ambivalente. Mostrando la negatività di chi si ostina a “ridere” con incoscienza della crisi globale e la positività di chi non perde il sorriso e non soccombe al peso dei tempi. ''Ancora ridi'' è stato registrato a Volterra, presso il White Rabbit Studio, nella primavera del 2013 e mixato al Che Studio di Milano. Apre le danze la title track ''Ancora ridi''. Un tentativo ben riuscito di filtrare ritmiche latine con l’oscuro e lo “sporco” che costituiscono, da sempre, parte del sound de Il Muro del Canto. Un brano d’amore, rabbia e intenso orgoglio proletario. Un invito alla reazione nei confronti della crisi sociale, economica e culturale contemporanea. ''Maleficio'' è un brano succube di una maledizione, che ne coinvolge anche la struttura. Sonorità gitane e timbriche alla Tom Waits si intrecciano in una dimensione malata e maledetta: un'ossessione d’amore da cui sembra impossibile liberarsi. Il trascinante motivo di fisarmonica contraddistingue il ritornello strumentale de ''Il canto degli affamati''. Il brano riporta, con nera ironia, a una Roma lontana, in cui la fame era il motore di ogni azione quotidiana. Con una farsesca descrizione della povertà in stile Charlie Chaplin e una musicalità fresca e dinamica, questo è sicuramente il brano più radiofonico e diretto dell’intero album. L'attenzione della band al cantautorato più colto si palesa nella riscoperta e riproposizione di un gioiellino di Stefano Rosso. ''E intanto er Sole se nasconne'', trascritta in dialetto dal Muro del Canto, ci lascia in eredità un meraviglioso testo, significativo di una vita al tramonto, noia generazionale e inadeguatezza sociale. In ''Peste e corna'' c'è una dichiarazione d'amore incondizionato, appassionato e protettivo. Eppure c'è anche un “ma”, che interrompe il sogno d'amore, lasciandolo sospeso e in balìa del sospetto, della gelosia e del dolore, la cui consapevolezza troverà un rabbioso sfogo nella travolgente ritmicità del ritornello. ''Palazzinari'', primo intervento recitato, è un viaggio tra casermoni di nuova costruzione e quartieri fantasma, dove ogni giorno si ripete la farsa di una vita “a misura d'uomo” confezionata da chi, da ormai troppi anni, controlla l'urbanizzazione delle grandi città: i palazzinari, per l'appunto. Deliberatamente ispirata al tradizionale canto funebre pugliese “Lu povero 'ntonuccio”, ''L’osteria dei frati'' è la trasposizione romana della vicenda umana di Antonuccio, celebrato, dai suoi vecchi compagni di bevute, in un accorato lamento dopo la sua morte. C’è spazio anche per una parentesi ironica. ''Canzone allagata'' è, infatti, una serenata rivolta a tutto il rione e ambientata nella notte dell’eccezionale alluvione del 20 ottobre 2011, a Roma. In quelle ore, proprio nel pieno della tormenta, c'è chi scende in strada ubriaco e canta a squarciagola, mettendo in guardia l’intero quartiere sul grande inganno dell’amore. ''Strade da dimenticà'', a seguire, è una western story capace di abbattere i confini geografici. Una storia di innocenti condannati alla sedia elettrica in Arkansas, così come di colpevoli che marciscono a Regina Coeli. In questo brano c'è tutta la potenza del sestetto romano, capace, oltre che d'abbattere le distanze, anche di esplorare passioni, miserie e nobiltà dell'animo umano, al di là dei confini regionali. Il secondo racconto dell'album s'intitola ''Il funerale''. È la storia di un uomo appena passato nell'aldilà, che ha la possibilità d'affacciarsi dal feretro e parlare con parenti e amici accorsi alla funzione. L'ipocrisia dell'ultimo saluto dopo una vita d'indifferenza, messa in scena tra il salotto che ospita la salma, l'altare di una chiesa e il verde del cimitero. ''Lacrima a metà'' crea un continuum con il recitato ed è una riflessione sulla vita e la morte, colta nell'istante dell'indecisione di chi è stanco della vita, ma allo stesso tempo legato indissolubilmente alla propria natura prettamente umana. ''Arrivederci Roma'', in chiusura, è un canto di migrazione, una cavalcata da selvaggio West. Un arrivederci alla città, amata e odiata. Il testo si compone di citazioni e proverbi, intrecciati insieme come radici difficili da tagliare... Anche quando si lascia per scelta o per costrizione la propria città alla ricerca della fortuna o di un sogno.