recensioni dischi
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THE STONE ROSES  "The Stone Roses"
   (1989 )

La pur breve parabola descritta dagli Stone Roses di Manchester non impedì loro di sublimare alcune delle geniali intuizioni che ebbero in questo album di esordio del 1989. Ancora oggi si tratta di un debutto che gode della considerazione pressochè unanime dei critici e di una duratura fama tributata dal gradimento popolare. I quattro ragazzi fondono una miscela ubriacante di influenze in un calderone che suona terribilmente british, quando la famigerata definizione di brit-pop ancora era di là dall'essere coniata; è tuttavia un pop insolito, che pesca a piene mani dalla psichedelia anni '60-'70 (lo sperimentale pasticcio lisergico di "Don't stop" ne è un esempio) trasformandola in qualcos'altro, una forma espressiva di confine che paga debiti a certo scintillante disco-rock ante litteram - dai Byrds ai Kinks. I quattro giocano con la materia sonora modellandola come plastilina in brani dal suono dilatato nei quali la voce inespressiva e sottotono di Ian Brown (che non fa altro che canticchiare come fosse un dilettante sotto la doccia) filtra attraverso coltri di riverberi ed altra effettistica varia guidata dalla chitarra illuminata di John Squire. A tratti pare di imbattersi negli Smiths ("Bye bye badman" che parte come i Beatles prima di accelerare in una ballata che pare scritta da Johnny Marr), a volte nei Cure più canzonettari ("Elephant stone") o addirittura negli Housemartins ("Song for my sugar spun sister"), ma l'impressione è sempre di ascoltare qualcosa di vecchio suonato da dei ragazzini che hanno imparato a memoria la lezione dei genitori. I pischelli azzeccano i ritornelli (e meno male, perchè sono proprio quelli a tenerli a galla) in canzoni che fanno presa rapidamente, dall'isolato episodio dark-punk di "I wanna be adored" alla psichedelia contagiosa di "Waterfall", dal ritmo sostenuto di "She bangs the drums" alla splendida melodia di "Made of stone" fino alla serrata sperimentazione ritmica che anima la lunga "I am the resurrection". Niente di nuovo - o forse sì? - in un disco che segnò la rinascita di quel pop inglese esistito da sempre ma a tratti assopitosi sotto la coltre del tempo. (Manuel Maverna)