recensioni dischi
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STANFORD PRISON EXPERIMENT  "Wrecreation"
   (1998 )

Quartetto losangelino non pił in attivitą, gli Stanford Prison Experiment sfornarono tre album a partire dalla metą degli anni '90 senza lasciare il segno. Propongono un'onesta miscela di riferimenti e scopiazzature basate su un sound decisamente ruvido che indifferentemente sfiora il crossover (vicinissimo ai Red Hot Chili Peppers almeno in "I'm a war" e "Hightower" con quel mix di linee funky e rap-metal) e cita i Jesus Lizard (in "But of course" manca solo - e dici niente - il canto schizoide di David Yow per credere di ascoltare un brano di "Head"), attingendo qua e lą a dissonanze metalliche albiniane ("Extinguisher", "Babyticker", "Machaca") e solo di rado allentando la presa con qualche ballata pił morbida ("Fine line"). Nel complesso si tratta di un disco per nulla fondamentale, senza il benchč minimo guizzo di creativitą (fa eccezione la pregevole, accattivante apertura di "Compete", a suo modo perfetta) e del tutto privo di inventiva nelle parti affidate alla sezione ritmica, ma ciononostante riesce comunque a non stancare, mantenendosi ben al di sopra della sottile linea che separa la sufficienza dalla noia. Il pregio di questi quattordici brani tirati e chiassosi risiede certamente nella concisione degli stessi (mai oltre i quattro minuti, spesso intorno ai tre o meno): sono canzoni fragorose ma esili che faticano a farsi ricordare, prive come sono di impennate o ritornelli memorabili, ma al contempo lasciano aperta qualche possibilitą al pezzo che segue. Ad appiattire il tutto ci pensa la voce di Mario Jimenez, che nella migliore tradizione del (post)hardcore si limita a sputare frontalmente i testi senza mai intonare una melodia nč tentare di interpretare i brani con un pizzico di reale partecipazione. Occasione sprecata: poteva essere un buon disco, se soltanto lo avesse realizzato qualcun altro. (Manuel Maverna)