recensioni dischi
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IMMANUEL CASTO  "Freak & chic"
   (2013 )

Personaggio di culto (rigorosamente con il “to” finale) sul web e recentemente apparso anche su canali televisivi non propriamente notturni, chi conosce Immanuel difficilmente ne esce indifferente, perché qui siamo nel classico concetto dell’o-lo-ami-o-ti-fa-schifo. Anche se il percorso artistico del soggetto, negli ultimi tempi, ha cercato alloggi meno sboccati per portarsi, dal porn-groove iniziale, a qualcosa che chissà se si possa definire social-porn. Ovvero, testi dove non c’è solo una fortissima componente sessuale fine a sé stessa, ma legata ad una qualche situazione che forse, magari, un qualche talk-show potrebbe utilizzare per aprire dibattiti. Era stato così nel precedente “Adult music”, e in parte lo è anche in questo nuovo lavoro, dove ad esempio “Sognando Cracovia” apre uno squarcio sulla prostituzione dall’Est, o dove “Zero carboidrati” condanna, a modo suo, le esagerazioni che si fanno per avere un corpo immune da lipidi. Poi chiaro, c’è anche il sesso giocoso della title-track (basti andare a sentire le prime due strofe, o il ritornello dove la fanciulla chiede, come se niente fosse, una bella gangbang) o i doppi sensi di “Sexual navigator” o la coinvolgente “Tropicanal”. Ma per la prima volta, sempre con arrangiamenti che condiscono il tutto di un elettro-pop con molti richiami anni ’90 e che forse, tradotto in inglese e mandato in onda su altri media, avrebbe anche successo, ci sono brani meno duri, come “Comunione e liberazione” e “Da quando sono morto”. Che, udite udite, forse potrebbero perfino passare in radio senza portare all’apertura di una commissione parlamentare. Il gioco, quindi, rimane sempre quello classico di tutti quei prodotti che vorrebbero cercare panorami più allargati, avvicinandosi ad una maggiore fruibilità senza per questo perdere la genuinità iniziale. Quello che piace, del Casto Divo, è il riuscire a trattare argomenti di questo tipo con un approccio serioso, senza sembrare demenziale come potevano esserlo gli Squallor o simili: basti vedere, come nel video di “Tropicanal”, canti un verso come “tra i garriti dei gabbiani dischiudiamo i nostri ani” con lo stesso sguardo che potrebbe avere Toto Cutugno nel raccontare della sua mamma che imbianca, o Tiziano Ferro quando parla delle sue sventure esistenziali. Il problema del disco, forse, è quello di essere fin troppo breve (8 brani e mezzo, diciamo), e con un finale che frena dopo l’ottimo inizio, lasciando un senso di coitus interruptus. Prendere o lasciare, ma alla fine si può tranquillamente prendere – in senso metaforico – canticchiando “alle Hawaii prima lo prendi e poi lo dai” con gioia, e sperando che si resti su questa direzione. Perché di brani seri ne è pieno il mondo, di “Anal beat”, un classico del Casto, invece solo lui ne è capace. (Enrico Faggiano)