TRICARICO "Il bosco delle fragole"
(2009 )
Nell’arco di oltre un decennio, Francesco Tricarico è stato capace di costruire un personaggio e di imbastire una carriera rispettabile, fondando la propria notorietà sull’ambiguità caratterizzante di una proposta per molti aspetti “off”. Volutamente e sinceramente low-profile sia nel look, sia nello stile dimesso e scomposto delle movenze e del canto, Tricarico segna il confine tra genialità e celia marcando il territorio con canzoni dall’incedere fanciullesco giocate sul filo sottile di un disagio interiore – reale o simulato, questo è il busillis - che sovente assume toni visionari. E proprio la visionarietà dei testi è calcata a tal punto da risultare quasi ubriacante, stordente e totalizzante, rischiando di ridurre e ricondurre la poetica di Tricarico alla sola dimensione – ma l’operazione è probabilmente erronea – naif che le sue parole trasognate suggeriscono. Il suo è un mondo a parte, non è dato sapere se creato o vissuto, se sognato o attraversato; difficile l’operazione, imposta all’ascoltatore attento, di rinvenire metasignificati (che non è detto ci siano) dietro la facciata di brani stralunati e strampalati, spesso scarni e caratterizzati da una scrittura assai semplice. Forse è sufficiente un approccio altrettanto easy per mostrare, sollevato il velo, un pugno di canzonette nonsense (“Immaginai”, la delirante “Un mondo fantastico”, la brutta “Punti di vista”), un paio di brani più curati anche nella sostanza (“Apparenze” è interessante così come la conclusiva “Marzo”, in bilico su un sottofondo low-fi), un singolo deboluccio e piuttosto inutile (“Luminosa”) e una hit discretamente contagiosa, seppure proposta nel consueto taglio allucinato e nel medesimo registro sgraziato al limite della stonatura (“Il bosco delle fragole”, che si lascia cantare dopo nemmeno mezzo ascolto). Dal punto di vista dei contenuti, è un lavoro troppo ostentatamente “off” per essere anche credibile, mentre musicalmente suona a tal punto semplicistico ed insipido da non invogliare ad ascolti ripetuti; disco bruttino, autore che non dà l’impressione di potersi nè di volersi spostare dal proprio piedistallo, arroccato in una nicchia dalla quale difficilmente uscirà e ad un’immagine dalla quale sarà problematico affrancarsi. (Manuel Maverna)