recensioni dischi
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PETE YORN  "Pete Yorn"
   (2010 )

Pete Yorn è un ragazzone del New Jersey che ha goduto di una qualche notorietà grazie a “Musicforthemorningafter”, fortunato album di esordio datato 2001. Forte di un songwriting tipicamente americano, fatto di chitarroni, ballate mid-tempo in 4/4, canto pulito e nessun azzardo, Pete si affida addirittura alla produzione di Sua-Maestà-dei-Pixies, l’immarcescibile Frank Black, la cui influenza complessiva sul lavoro appare non del tutto trascurabile, specie se si considera il suo percorso da solista. Nonostante ciò, il buon Pete svolge il suo onesto compitino rubacchiando qua e là da modelli assodati, si tratti di Tom Petty (“Precious Stone”) o di Lou Reed (“Badman”), degli Weezer (“The chase”) o di John Fogerty (“Stronger than”), dei R.E.M. (“Future life”, “Sans fear”) o perfino del suo mentore e nume tutelare (la bella “Velcro shoes”, quasi una outtake di “Trompe le monde”): pur privo di alcun guizzo, sorpresa, colpo di genio o suspense, l’album riesce tuttavia miracolosamente a conservare una innegabile, gradevole piacevolezza, in larga parte ascrivibile alla pienezza ed alla levigata rotondità del sound, quel confortante, melanconico fm-rock tanto caro oltreoceano. Da qui a riservare brividi od entusiasmo ce ne corre, e Pete si limita a traccheggiare sornione tra mainstream e indie (“Paradise cove 1”), tra uno sketch country (“Wheels”) e suggestioni anthemiche (l’autoreferenziale “Rock crowd”), guadagnandosi un’ampia sufficienza senza nemmeno faticare, ma senza neanche dare mai per un solo attimo l’impressione di poter salire di livello, un po’ come uno scolaro mediamente intelligente che, per quanto studi e si applichi, difficilmente andrà oltre il 6 in pagella. (Manuel Maverna)