recensioni dischi
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MODEST MOUSE  "We were dead before the ship even sank"
   (2007 )

I Modest Mouse rappresentano da oltre quindici anni una luminosa realtà dell’indie-rock mondiale, fedeli ad una espressività contorta che, nel corso del tempo, ha mantenuto più o meno intatte le caratteristiche peculiari già evidenti sin dagli esordi. La costruzione bizzarra dei brani, lo sviluppo obliquo degli stessi, le improvvise scariche chitarristiche pilotate da nevrosi infinite, ed infine il canto imprevedibile – spesso maniacale – del leader Isaac Brock, costituiscono gli elementi cardine di una musica singhiozzante, nervosa, tesa, spesso imprevedibile nei repentini sbalzi di umore che la pervadono come scosse elettriche. E’ una musica esistenziale che procede sghemba per accumulo di tensione, come un cobra che rilasci all’improvviso il suo mortifero veleno quando meno te lo aspetti. “We were dead...” vede l’allargamento della formazione, che passa da tre elementi a sei (ivi incluso Johnny Marr, celebre ex chitarra degli Smiths), ed al contempo segna un definitivo affrancamento dalla folle furia abrasiva che aveva contraddistinto sia “The lonesome crowded west” che il successivo “Moon & Antarctica”. E se alcuni rari episodi si rivelano ancora spaventosamente simili alle folgoranti stilettate degli inarrivabili Pixies (l’iniziale delirio strozzato di “March into the sea” o la frenesia teatrale di “Fly trapped in a jar”), il disco è in larga parte composto di brani che faticano a lievitare, prigionieri di un deja-vu che suggerisce stanchezza compositiva. Sono canzoni che nemmeno a successivi ascolti lasciano trapelare null’altro se non ciò che offrono di primo acchito, ossia una riproposizione in chiave fiacca delle intuizioni che li hanno resi grandi. Fanno allora capolino ritmi danzerecci (il singolo “Dashboard”, comunque irresistibile con un riff e un ritornello sopra le righe, la cadenzata “Fire it up”, o il secondo estratto “Missed the boat”, entrambe sottotono), esperimenti discutibili (“Education” potrebbe stare a metà strada tra Cure e Talking Heads), ballate subdole (la lenta “Little motel” col suo passo pigro da anni ’50, la conclusiva “Invisibile” con un bell’intreccio sonoro, o la più lineare – quasi melodica – “People as places as people”) e qualche episodio davvero azzeccato. In particolare, “Spitting venom” sembra riportare ai fasti che furono sciorinando il campionario completo dei trucchi della band: inizio a passo di country-folk, inciso per urla e violenza brada, coda interminabile su un registro completamente diverso, con violini e tastiere a sorreggere la ripetizione mantrica di poche parole sospese nel nulla. E’ questa la vera dimensione dei Modest Mouse, quella che aveva segnato indelebilmente gli album precedenti, proprio quella dimensione che Brock e soci non sono riusciti a ricreare in un disco fatto sì di molte buone intenzioni e di tanta carne al fuoco, ma penalizzato da una qualità dei pezzi mediamente appena accettabile, come se il gruppo avesse avuto poco da dire o poco voglia di dirlo. Album discreto senza grandi canzoni. (Manuel Maverna)