THE HANDSOME FAMILY "Down in the valley"
(1999 )
C’è qualcosa di oscuramente sinistro, di malefico, di malignamente inquietante, una sorda, strisciante presenza che raggela l’anima e prefigura scenari perversamente lugubri; c’è qualcuno o qualcosa che – simile ad una demoniaca presenza – abita le canzoni spettrali dei coniugi Brett e Rennie Sparks, in arte The Handsome Family, anime intrappolate nell’anticamera di un labirintico inferno dell’inconscio, in attesa non già della redenzione, bensì della definitiva condanna all’abisso. “Down in the valley” raccoglie composizioni provenienti dai primi tre album, brani allucinati intrisi di un opprimente senso di morte, il tema ricorrente pressochè in ogni traccia, tanto più agghiacciante se lo si considera inversamente proporzionale alla relativa lievità delle melodie usate per veicolarne la luciferina tetraggine. Al passo di gentili country-ballads tanto essenziali quanto ancestrali nell’impianto e nello sviluppo ritmico ed armonico, il baritono catacombale e stentoreo di Brett propelle con naturalezza falsamente rassicurante ed un tono da consumato crooner le liriche mortifere offertegli dalla consorte, la cui fervida, malata immaginazione fornisce un caravanserraglio inesauribile di figure da baraccone dal vivido nitore. Sono canzoni concepite per spaventare surretiziamente, insinuando il dubbio, procedendo per indizi, svelando ad ogni verso dettagli e particolari (non di rado efferati) del quadro finale che si viene a comporre. Nella forma, questa è musica country pura e semplice incrociata con il bluegrass e l’old-time, suonata senza fronzoli con il banjo, la chitarra, la tromba, un tamburello: ciò che la rende unica ed inconfondibile è il taglio omicida e sepolcrale che ammanta le canzoni conferendo loro un’aura gotica da autentiche murder ballads d’antan. Sfilano sulla ribalta scricchiolante di un vecchio teatro di rivista le manie suicide del genere umano (“Weightless again”), l’uomo che vendica la morte della sorella sterminando serpenti ed incendiando boschi (“My sister’s tiny hands”), la coppia ricostituita dopo le dimissioni di lui dall’ospedale psichiatrico (“Lake Geneva”), l’inquietante ritratto da Barnum di Robert Wadlow (“The giant of Illinois”, basata su una storia vera), l’amour fou del pazzo omicida e stupratore (“Arlene”), l’agonia della donna che si lascia morire di fame (“The woman downstairs”), la solitaria litania di un alcoolizzato (“Drunk by noon”), e mille altre schegge di follia disseminate come le briciole di Pollicino in una foresta che il buio ha reso impenetrabile. In lontananza, oltre la radura deserta, tra le foglie che il vento sibilante fa stormire, pare di udire il compiaciuto riecheggiare di una risata – forse di Brett, forse di Rennie - al calare della sera, ed è proprio in quell’istante che ci si rende conto che in realtà non c’è niente da ridere. (Manuel Maverna)