recensioni dischi
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DEAD KENNEDYS  "Bedtime for democracy"
   (1986 )

Jello Biafra rappresenta una figura di assoluto rilievo nella storia del punk americano, ed i suoi Dead Kennedys una delle band di punta del filone hardcore nella prima parte degli anni ’80. Forti di una carica eversiva dirompente e di un frontman istrionico e carismatico, i Kennedys realizzarono quattro album che ne ritrassero il progressivo passaggio dal piglio grottesco degli esordi al tono eminentemente politico dell’ultima parte della carriera, nella quale le posizioni estremiste di Biafra presero il sopravvento su ogni altra tematica. Mai del tutto deposta l’irriverenza caricaturale ed iconoclasta che rese celebre il debutto di “Fresh fruit for rotting vegetables”, la band continuò ad esprimersi musicalmente secondo gli stilemi propri del punk, privilegiando pezzi di breve durata (in “Bedtime for democracy” la metà delle tracce non arriva ai due minuti), ritmi velocissimi, cori anthemici, chitarrismo sostenuto ed approccio diretto e frontale, ma senza mai perdere di vista una certa cura nell’esecuzione dei brani, la cui qualità tecnica appare comunque non priva di una perizia inusuale per il genere. In un frullatore di cinquanta minuti e ventuno tracce, Biafra e soci scagliano ordigni incendiari contro ogni possibile aspetto della società americana, aprendo con la cover velocizzata di un classico del country (“Take this job and shove it” di David Allen Coe) e proseguendo con attacchi a testa bassa ai cardini dell’establishment, siano essi la propensione alla belligeranza (“Rambozo the clown”), le disuguaglianze sociali (“Hop with the jet-set”), la polizia (“D.M.S.O.”), il rischio di massificazione becera (“Fleshdunce”, “Chickenshit conformist” che si aggira intorno ai sei minuti), il presidente (“Gone with my wind”), la democrazia stessa (“Where do ya draw the line”), la giustizia (“Lie detector”), l’industrializzazione (i cinque minuti di “Cesspools in eden” contro il petrolio, l’inquinamento, il mondo intero, ecc.) e via di questo passo tra drumming frenetico, mitragliate acide e qualche scherzo più strutturato (“Potshot heard round the world”). A farla da padrone è sempre l’interpretazione borderline di Biafra, attore consumato che recita in un teatro di sua esclusiva proprietà un monologo da lui stesso scritto e diretto, al tempo stesso guitto, censore, predicatore, profeta e Cassandra. A suo modo, un genio. (Manuel Maverna)