VIC CHESNUTT "At the cut"
(2009 )
L’arte povera ma immensa di Vic Chesnutt assume di volta in volta i toni pacati del crooning fatalista, di rado cedendo all’autocommiserazione, più spesso indulgendo in un toccante salmodiare sulle ali di una voce vibrante come poche altre. E’ proprio la voce il motore di questo pugno di canzoni ricoperte di polvere e venate di una sottile malinconia, è sempre lei a guidare parole sfuggenti lungo corridoi semibui, facendosi dolente (nell’incedere oscuramente bluesy della maestosa “Chinaberry tree” o nel passo funebre di “Chain”, accompagnata da un contrabbasso fumoso e da note di piano distanti secoli) o soltanto amaramente rassegnata. Sono canzoni costruite con poco, su timidi giri dall’atmosfera notturna e crepuscolare, spesso entro forme prossime al blues del delta (le spazzole che accarezzano lo shuffle pigro di “We hovered with short wings” mentre Vic indugia su un falsetto dall’anima nera ricordano indiffrentemente Ella Fitzgerald, Count Basie o Roy Eldridge), di rado tentando sortite in altri territori (il passo più rock di “Philip Guston” sembra quasi fuori luogo). E’ un disco intimo e cortese che cela la propria disperazione dietro la maschera del disincanto, di rado esplodendo in autentico martirio (terrificante l’iniziale “Coward”, con una cadenza ossessiva che deflagra in una marcia sinistramente lancinante), talvolta cedendo alle liriche l’arduo compito di descrivere la compassata agonia di una vita faticosamente giunta al termine, sia nella lunga confessione di “It is what it is”, sia nella reiterata esitazione di “Flirted with you all my life”, che arranca su un registro dylaniano senza mai giungere a compimento. Disco da brividi, cullato da un'anima fragile che esita e palpita, regalando tutto ciò che possiede senza filtri, un'anima di fanciullo che chiude un disco oscuramente splendente con una sommessa ballata gospel ("Granny") dedicata alla memoria di una nonna dipinta in un quadretto minimalista di rara intensità: pare di vederla, un'anziana signora con le sue povere cose ed i suoi ricordi di un tempo lontano, in una piccola cucina mentre spolvera le sue gioie ancestrali, immagini semplici che solo Vic Chesnutt avrebbe potuto trasformare in opera d'arte sulle corde stonate di una musica tanto essenziale quanto sconfinata. Meraviglioso, estremo cantore di un dolore sordo ed insanabile. (Manuel Maverna)