BEADY EYE "Different gear, still speeding"
(2011 )
Come adolescenti lasciati per una sera a casa da soli dai genitori, ai quattro ragazzini Liam, Gem, Andy e Chris non dev’essere parso vero di potersi scrollare di dosso per un po’ la tirannia del dispotico papà Noel. Sembra quasi di vederli, questi quattro lads dei sobborghi, mezzi brilli, casse di birra a volontà e stecche di sigarette alla mano, mentre scendono con aria sorniona e saputa nello scantinato noleggiato per venti sterline l’ora, tra battutacce su Noel e facezie sulle donne condite da fuck assortiti e da qualche rutto virile (si sa, la birra...); e sembra quasi di sentirli quando attaccano la schitarrata acida e cattivissima di “Four letter word”, quel pezzaccio che – fuck Noel – dimostrerà al mondo intero che loro di Noel non hanno alcun bisogno, e che sono capaci di andare alla conquista delle charts anche senza quell’asshole ubriacone e dislessico. In effetti la canzone gira a meraviglia, con un tiro da treno svizzero, la giusta baraonda di chitarre ed il canto di Liam che – tanto Noel non c’è, ma se ci sentisse! – per una volta è quasi serio, impostato, meno sguaiato del solito; certo, gli accordi sono sempre gli stessi, l’andamento pure, insomma: sembra una canzone degli Oasis, ma fuck Noel, questi sono i Beady Eye, e sono qui per fargliela vedere a tutti! Alla fine del pezzo via con un’altra birra e un paio di sigarette, poi Andy guarda Liam e chiede: “E adesso cosa facciamo?”. Sembra quasi di sentire la risata scomposta di Liam, che dietro gli occhiali da sole sbuffa una nuvoletta di fumo prima di rispondere uno stizzito ed irascibile “What the fuck, ask Noel!”. E giù tutti a ridere, e giù un’altra birra. E pare quasi di vederli, mentre Gem dice di avere un altro pezzo chartbuster, si intitola “The roller”: provano un paio di volte il giro, e concordano sul fatto che anche questa spacchi, e di brutto! “Ma sembra una canzone dei Beatles”, prova timido a chiosare Chris: Liam lo manda a quel paese, aggiungendo polemico “So what?”. E giù un’altra birra. “E adesso?”, domanda Andy. “Ho un’altra canzone”, aggiunge Liam, “Non è un granchè, ma potremmo tirare lungo il finale, che fa molto psichedelico!”. E via con la nenia indigeribile di “Wigwam”, con una coda che neanche ai Modest Mouse di “This is a long drive” sarebbe venuta in mente. “Oh, mi piace”, dice Liam, “facciamone un’altra così!”. E allora vai con la litania interminabile di “The morning son”, che dal nulla parte e nel nulla finisce, ma i lads pensano sia qualcosa di geniale, come il mucchio informe di altre canzonette (o canzonacce, dipende dai punti di vista) senza capo nè coda infilate una dopo l’altra come perlìne incolori in una collana comprata al mercato. “Time is up, guys”, li richiama il tizio della sala-prove. I quattro ripongono la loro mercanzia, mezzi ubriachi ma soddisfatti. Escono nella fredda notte mancuniana con l’ennesima sigaretta tra le labbra e la testa che gira un po’, convinti di aver cambiato la storia del rock e di aver fatto qualcosa di così terribilmente migliore e di enormemente diverso da un disco degli Oasis. Nelle orecchie, il fantasma – mai così reale – di John Lennon continua a canticchiare vecchie melodie che non portano da nessuna parte, men che meno avanti anche di un solo centimetro. Da qualche parte, Noel se la ridacchia, mentre suona una sua nuova-vecchia canzone, sorseggia una birra, fuma una sigaretta, e pensa “fuck Liam”. (Manuel Maverna)