ARTICOLO 31 "Italiano medio"
(2003 )
Grazie ad una nutrita serie di singoli azzeccati, ad un’immagine furbamente irriverente e ad un approccio screanzato e scanzonato, il duo Aleotti-Perrini – in arte Articolo 31 – è riuscito ad imporre con destrezza e non senza doti commerciali il proprio ibrido caotico di hip-hop suburbano, canzonetta all’italiana e rock di provincia, inventando quello “spaghetti-funk” che li ha resi celebri e discretamente benestanti, almeno prima dello scioglimento ufficiale del 2006, preludio ad un discutibile percorso solista di J-Ax e al desiderato ritorno di Dj Jad all’amata elettronica strumentale. Nell’ultima fase della loro parabola a due, il limite maggiore dei due ex-ragazzacci va forse individuato proprio nell’incapacità di optare per una strada ben precisa, intraprendendo finalmente il viaggio giusto: il risultato è un disco fastidiosamente titubante, un fumettone che vorrebbe risultare divertente (forse), schierato (forse), accattivante (forse), ma finisce per essere soltanto un pasticcio inconsistente nel quale a prevalere è l’anima fracassona, burlona e presuntuosetta del caciarone J-Ax, a tutto discapito delle basi – che avrebbero meritato sì maggiori e migliori sviluppi – di Dj Jad. L’hip-hop resta oramai in disparte, e quasi tutte le tracce sono costruite attorno ad un pop-rock di maniera (nei suoni e nei ritmi) che poco o nulla ha più a che fare con gli Articolo 31 che furono, mentre l’irriverente J-Ax gioca – pure troppo – a scimmiottare in modo controproducente Rino Gaetano, con esiti risibili. Qualche spunto indovinato c’è, a partire dai due singoli “La mia ragazza mena” (che è una canzonetta, ma ben fatta) e “L’italiano medio” (più arruffona, ma comunque buona), ma la gran parte delle altre quattordici tracce si perdono nei meandri del delirio di onnipotenza di J-Ax, troppo impegnato a ricordarci che ragazzaccio sia per curarsi anche di scrivere bene. Non è chiaro – nè mai lo sarà – se i due baldi ex-giovani vogliano far sorridere (“Commodore 64 vs. Pc” è un insolito punkettone che parte comunque da una buona, simpatica idea) o redigere un testamento di periferia lasciando ai fan perle di saggezza del ghetto (“Caravìta”, “I consigli di un pirla”); troppo autoreferenziale (“Manate”, “1972”), troppo ostentatamente idiota (“La canzone del dito”), troppo disimpegnato per essere credibile, “Italiano medio” è purtroppo un lavoro complessivamente incolore, album disordinato che vaga senza meta per il solo gusto di farlo, finendo per essere unicamente un disco bruttarello. (Manuel Maverna)