FUCK BUTTONS "Slow focus"
(2013 )
Ci sono eventi che possono cambiare il destino di un gruppo indipendente: un’apparizione eclatante o una raccomandazione impeccabile possono fornire gli strumenti necessari a spiccare quel tanto sospirato volo. Per i Fuck Buttons il momento è ora topico e con la pubblicazione del terzo album intitolato “Slow Focus” – ancora per il fidato marchio ATP Recordings – è tempo di capitalizzare le recenti esperienze. Una di queste in particolare ne ha segnato il passo: dopo la svolta apparentemente più friendly di “Tarot Sport” del 2009 – làddove i ritmi erano divenuti più nevralgici e l’ipotesi dancefloor affatto remota – è arrivata la cerimonia d’apertura dei giochi olimpici del 2012, nella cornice suggestiva e spettacolare della capitale inglese. Scelto dal regista dello spettacolo inaugurale Danny Boyle su diretto suggerimento degli Underworld, il duo di Bristol si ritaglia uno spazio vitale nella kermesse che apre la manifestazione, in un gioco mediatico che ha creato un lasciapassare alla notorietà su più ampia scala. Ci sono voluti ben quattro anni per poter ascoltare il nuovo album, Benjamin John Power ed Andrew Hung hanno impiegato il tempo necessario a dare un successore al premiato dittico che ne aveva costruito la piccola leggenda. C’è una regola fondamentale nella loro musica, lo scambio di informazioni in diretta. I due hanno composto ‘from scratch’ tanto per usare la terminologia cara ai colleghi d’oltreoceano. Nessuno scambio serrato di file, ma una dimensione che rispettasse il più possibile l’intensità dei loro live, dove le macchine sono analogiche, le percussioni reali e l’impianto fisico insindacabile. “Dobbiamo essere sempre nella stessa stanza quando occorre scrivere e comporre”. “Slow Focus” sin dal titolo sembra rispettare le consegne, dando l’idea di una lenta presa diretta, di un ingrandimento progressivo sul dettaglio. Un’esperienza che aggiunge ulteriori elementi alla musica del gruppo, che con sentimenti rinnovati guarda alla tradizione della musica cosmica tedesca, ricordando certo i sommovimenti post-rave inglesi e rispettando in linea di massima una visione lisergica. Perché se la psichedelia è una dimensione prima che uno stilema musicale, i Fuck Buttons entrano prepotentemente e definitivamente in questo universo, rilasciando ad oggi il loro disco più completo. Fatto di roboanti drone tastieristici e suadenti bassline, percussioni dai sinistri toni metallici ed immancabilmente industriali che spianano la strada a tessiture elettroniche celestiali. Arpeggi di synth e frustate rumoriste che sono il succo della faccenda, stringendo ancora l’obbiettivo su quel dialogo a due tra musica dance e noise che ha generato alcuni dei migliori frutti proibiti della musica inglese underground (da Andy Stott a Demdike Stare, passando per tutto un sottobosco di attori non certo minori). Uno dei primi grandi acuti di questa stagione.