recensioni dischi
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DAN BERN  "Fleeting days"
   (2003 )

Dan Bern è un prolifico cantastorie americano, erede di quella grande tradizione folk-rock che nei decenni nomi illustri hanno contribuito a rendere tratto peculiare dell’american-way-of living. Penna salace e pungente, non ha mai perso occasione per bacchettare istituzioni e persone (è stato un feroce ed esplicito detrattore dell’amministrazione Bush, tanto da incidere addirittura un album contra-hoc, “My country II”) con intelligenza vivida ed una scrittura incisiva e dissacrante. “Fleeting days” è album riuscitissimo nel suo tentativo mirabile di accoppiare liriche ispirate (Bern se la cava bene anche con le lovesong, amare e caustiche quanto basta) a musiche altrettanto ben congegnate ed efficaci. E’ disco brioso che procede a ritmo quasi sempre sostenuto, in una miriade di riferimenti ai mostri sacri fonte di ispirazione per Bern, il cui songwriting è stato spesso accostato di volta in volta al Boss (splendida la rock-ballad sostenuta “Baby bye bye” che apre l’album), a Costello (il pop datato e veloce di “Jane”), a Petty e soprattutto a Dylan (che in “Fly away” sembra quasi di ascoltare per davvero). Fra le quattordici tracce che compongono il lavoro si trova di tutto, da echi di Billy Joel (la lounge notturna ed elegante di “City” ha passaggi che ricordano “Just the way you are”) a sferzate country à la Johnny Cash (“Chain around my neck”), al boogie (il divertissment di “Graceland” o la torrida bordata garage di “Crow”, addirittura in area Ramones). Ma in mezzo c’è spazio per tutto, con la voce nasale (ancora un’eco dylaniana) di Bern capace di intonare di volta in volta sia la ballata bucolica di “I need you” che il ciclico singalong di “Eva” (dove ricorda Roy Orbison), o di pennellare addirittura la mirabile cadenza à la Tom Petty della deliziosa “Closer to you”, quasi tramutata in psichedelia campestre da un paio di bizzarri passaggi armonici e da una reprise finale in crescendo, o ancora di regalare una carezza nel western gentile di “Don’t make me leave”, a metà strada tra Willie Nelson e il Greenwich Village. Autore intrigante che intelligentemente frulla con entusiastica ed entusiasmante verve in un gigantesco calderone gli ultimi quarant’anni di America: niente di nuovo nè di sorprendente, ma il signor Bernstein è un affabulatore di prima categoria, un cantastorie scaltro ed ispirato che ha studiato a fondo i modelli ai quali apertamente si ispira e dai quali ha imparato tutto ciò che poteva. (Manuel Maverna)