recensioni dischi
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ELIO E LE STORIE TESE  "L'album biango"
   (2013 )

Sembra quasi che, ormai, la discografia ufficiale sia l’ultimo dei problemi, per gli Elii, che viaggiano a un lavoro ogni quinquennio pur non fermandosi praticamente mai nei loro tour o apparizioni televisive. Ed è forse da questo che si deve partire, per un lavoro che non riesce a raccogliere al proprio interno tutto quello che è la band, in giro da duemila anni e ormai piena di riconoscimenti di qualsiasi tipo e genere. Perché gli album degli Elii vanno ascoltati e sentiti, in quel connubio “fanno ridere ma sanno anche suonare” che forse loro, unici, sono riusciti ad appaiare nel modo migliore, eppure con il passare del tempo l’impressione è che la voglia di stupire con le strumentazioni abbia preso il sopravvento, piuttosto che cercare la battuta o il modo di dire che poi entra nell’immaginario collettivo. Tradotto, qui non ci sono pipperi, servidellagleba, cassonetti, brufolazzi o tutto quello che di loro conosciamo, e chissà se la causa va cercata anche nel passare degli anni. Perché le cose che (ci) facevano ridere a 20 anni non sono quelle che possono far(ci) ridere a 40, e così come cambiano le orecchie degli ascoltatori forse cambiano anche le ispirazioni dei compositori. Chiaro: qui c’è, come sempre, roba presa da diecimila generi musicali diversi, decine di citazioni e tanto altro che necessita di ascolti ripetuti per trovarne anche solo la metà, così come ci sono ospiti sparsi qua e là (notare il “cantante cambiato” ne “La canzone mononota”, che qui diventa Nek), prese in giro (“Amore amorissimo”, che cuoce Modugno in salsa disco), e parodie di internet. Che però sembrano quasi vetuste, in un mondo – quello di internet – dove le stranezze, da “Enlarge your penis” in poi, cambiano più rapidamente di quanto Elio non le riesca a mettere in musica. Poi chiaro, arriva “Il complesso del primo maggio” che mette d’accordo tutti e che fa portare a casa il risultato, ma l’impressione è che la facilità di comunicazione che c’era ai vecchi tempi si sia un po’ persa per strada, per lasciare posto ad un intrattenimento musicale di qualità ma forse (e che non arrivi Supergiovane a fulminare il critico) fine a sè stessa. Forse, la commercialità non è più di questo mondo – se uno vuole sentire gli Area compra un disco degli Area – e se volete l’Elio che fa ridere andatevi a ripescare anche solo le parodie televisive (“Bunga Bunga” in primis). Qui, ci si diverte, ma è come andare in stazione per prendere a schiaffi quelli che partono, ed accorgersi che sì, forse, così in alto non si riesce più a saltare. Poi chiaro, basta la storia di Luigi il pugilista, o l’accorata introduzione di Eugenio Finardi per il concerto del primo maggio, o la lunga ghost track, a spiegare perché siamo qua. Però, ecco... (Enrico Faggiano)