recensioni dischi
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ALPHA BLONDY  "Mystic power"
   (2013 )

Carriera ultratrentennale ed ennesimo disco per Alpha Blondy, rappresentante fondamentale del reggae africano, ambasciatore – non sempre con grandi fortune - della sua Costa D’Avorio, e forse non del tutto conosciuto nell’occidente musicale per questa sua scelta, reggae anziché musica africana, che lo ha forse distolto da quelle mode etniche che, negli anni, hanno fatto le fortune di altri. Lui non se ne cura più di tanto, ha un po’ di appeal sul mercato francese, ma di solito chi ha bussato alle sue porte non se ne è mai tornato a casa, diciamo, sconfitto o poco convinto. Reggae, quindi, cantato come sempre in idiomi locali così come in inglese e in francese, andando a scomodare Bob Marley (con i cui Wailers Alpha Blondy, duemila anni fa, incise “Jerusalem”, uno dei suoi album meglio usciti) per una curiosa versione in francese di “I shot the sherif”, diventata appunto “J’ai tué le commissaire”, e con tematiche sempre legate a questioni sociopolitiche. Come le difficoltà del suo paese, le guerre di religione, la pace come principale obiettivo a cui aspirare. Difficile entrare nelle questioni, come ad esempio “Reconcilation”, duetto con un altro personaggio della musica africana, Tiken Jah Facoly, con cui il nostro ha avuto beghe chiaramente oscure a tutti noi. Alla fine meglio tornare sulla musica, che forse si allontana un po’ dal reggae classico per cercare – cosa non sempre riuscita in Alpha Blondy – maggiori fortune ritmiche. Per cui si potrebbe parlare di ordinaria amministrazione, specie considerando come non è che il reggae possa poi avere tanta variazione sul tema, specie se gli album toccano le 15 tracce e, quindi, possono risultare monotoni all’orecchio di chi proprio proprio in intimità con il genere non è. Però, tutto sommato, visto e considerato poi che da anni il reggae vive solo del ricordo dei Padri Fondatori, e in qualche escrescenza dance non esattamente pura, andare ad aprire questo disco è poi una finestra spalancata verso un qualcosa che, in fin dei conti, male non fa. (Enrico Faggiano)