recensioni dischi
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GRONGE  "Dolci ricordi"
   (2013 )

Ammetto che, parlando dei Gronge, ho paura di dire qualche cazzata di troppo. Ma dopo aver ascoltato ''Dolci ricordi'', ottavo album del gruppo “tecnopunkabaret” romano, non posso farne a meno. Un album che pesca più e più volte nelle “tradizioni” del nostro paese: musicali (I Cugini di Campagna e la Pfm), certo, ma anche nelle cattive abitudini (televisive e – soprattutto – non). No, non sono impazzito. Fate partire il disco e Marco vi canterà ''Anima mia'' tra svolazzi psichedelici ed elettronici. E si parla, già dai primi secondi, di persone che – aspettate – a casa non ritorneranno più. Ma prima di salire in casa, se c’arriviamo, camminiamo per le strade di Roma: tra mille e mille graffiti, tasselli che vanno a comporre il testo di ''Graffiti 3''. Un muro noiserock fatto di mattoni vagamente hip-hop. È quasi come facevano gli Ustmamò con gli annunci d’appuntamenti, ma in maniera molto più rumorosa. Si rimane rumorosi anche in ''Il corpo della nazione'', anche se qui il rumore è più elettronico. Quattro minuti tra martellate di elettronoise e racconti di una voce calma (o rassegnata?). Ma non si è solo rumorosi, c’è anche un’anima punk che svolazza in tutto l’album e lo rende dannatamente sporco: prendete ''The teacher'', dove la rabbia tipica del punk (la chitarra – col suo riff – ricorda un pò i Dead Kennedys) viene mischiata a batterie veloci, quasi drum’n'bass, un pò à la Asian Dub Foundation (“Fortress Europe“?). Muovetevi, e continuate a martellare, da incazzati, fino all’arrivo della polizia. ''Dolci ricordi'', dall’alto dei suoi due minuti, si muove tra psichedelia, post-rock e reading. Due minuti bassi ma che vanno dritti al punto, se ascoltate bene il testo. Uno stacco di riposo tra due episodi distorti e incazzati. Infatti, con forza lavoro ritorna la rabbia. Rabbia giustificata, per difendere una vita (“…una vita di merda, di merda, di merda!” – è qui, nella voce, che si sente di più l’incazzatura del quartetto romano) armati di punk, di casino noise, di frullati di chitarra e cori di protesta. “Questa canzone è dedicata a tutti li giovanetti che persero la vita a causa della legalità“: recita l’inizio di ''Pischelli'', un brano carico di suggerimenti, che vanno dal neorealismo cinematografico alle strade di Roma, dalla cronaca allo sguardo delle madri che non vedono più ritornare i propri figli. Il tutto su un tappeto di samba-noise interrotto – bruscamente – da scariche rumorose. E per Gronge, dall’alto dei suoi venti-e-passa-anni di esperienza, è uno scherzo saltare dal noise al jazzcore: in ''Killer naturale'' è come se i Neo si divertissero ad accompagnare un crooner di tutto rispetto (parliamo comunque di Marco Bedini, mica cazzi). Dal rumorismo al jazz, andata e ritorno: noise-jazz-noise. E il ritorno è ''Man ray lo sai'': elettronica e rumorismo che camminano insieme e che sembrano random. Prendete il pezzo precedente, togliete i Neo e mettete i synth ronzanti delle Amavo ad accompagnare la voce, questo potrebbe essere il risultato. ''My brain'' per partire deve superare – all’inizio – un paio di indecisioni strumentali. Ma quando trova la sua strada, si divide tra ambient/drone e una voce che sembra quasi vaneggiare da ubriaco: e il risultato è uno strumentale claustrofobico, basso, ma di grande effetto. E della stessa qualità è anche ''Divento protagonista'' che, nonostante la citazione 'PFMina' iniziale, riporta in campo le distorsioni e le “sporcizie” punk. Distorsioni e pesantezze, schizzi e deliri elettronici. Tutte cose che caratterizzano fortemente questo lavoro e lo rendono molto originale. Che poi, quando a fine album ti si presenta un pezzo chiamato ''Defilippis dead'' cosa puoi aspettarti? Un invito a cantare, tutti insieme, sudati e felici, rumorosi e distorti “de filippi is deaaaaad” augurando alla diretta interessata “di vivere ancora un milione di anni per assistere a tutti i danni cerebrali che hai compiuto su questa nazione, sulle migliori menti che potevano circolare a piede libero… di vivere e trascinarti per vedere con i tuoi occhi tutti i danni che hai compiuto“. Fine delle trasmissioni, coi complimenti vivissimi per il programma. (Luigi Piergiovanni)