recensioni dischi
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EPSILON INDI  "Wherein we are water"
   (2012 )

Gli Epsilon Indi nascono artisticamente a Roma nel 1987 dalla fusione tra una compagnia di teatro-danza e un gruppo musicale. La commistione delle arti è nel DNA della formazione, ed è quest’attitudine a portarli in maniera naturale a dedicarsi non solo alla realizzazione di album e concerti - che ne sono rappresentazione multimediale - ma anche alla sonorizzazione di pièce teatrali, spettacoli di danza, film per il cinema, cortometraggi, documentari. Gli Epsilon Indi non sono mai stati una band nel senso classico del termine. Il gruppo può essere considerato come una factory, un posto immaginario dove il lavoro del singolo - compositore, musicista, danzatore, regista, attore, pittore, scultore, scenografo, grafico... un artista, insomma, con uno spiccato interesse per la sperimentazione e la ricerca musicale e visiva - trova sempre una collocazione ed il riscontro in un progetto comune. La formazione ha attraversato questi ultimi anni, così difficili per la cultura in Italia, portando avanti innumerevoli progetti. In questo percorso, “Wherein We Are Water” segna non tanto un punto d’arrivo quanto l’ennesima svolta artistica nella storia di un gruppo “culto” che, silenziosamente ma in maniera efficace, traccia il proprio segno nel panorama musicale, e non solo italiano. Gli Epsilon Indi avevano col tempo sempre più affinato il loro stile di concerto-spettacolo, riuscendo a creare una “scatola dei sogni” che prende vita sera dopo sera, coinvolgendo ed emozionando lo spettatore nelle loro esibizioni nei romani Teatro Vittoria, Teatro dei Satiri, Teatro Furio Camillo, Casa del Jazz, Alpheus, Villa Ada, Teatro al Parco, come pure al Teatro Romano di Ostia Antica e Palazzo Giustiniani Odescalchi a Bassano Romano. Nel lungo lasso di tempo trascorso tra l’ultimo “Crystal Soup” del ’99 e questo nuovo disco, hanno visto la luce numerose colonne sonore per spettacoli di teatro-danza, documentari e partecipazioni a compilation per associazioni no profit. L’ultimo, in ordine di tempo, è stata la partecipazione alla Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia nel 2010 con “PER QUESTI STRETTI MORIRE”, il docufilm di Isabella Sandri e Giuseppe Gaudino, la cui colonna sonora è stata favorevolmente accolta alla critica specializzata, e che ha segnato il sodalizio con l’etichetta BitBazar. L’elemento attorno al quale è costituito “Wherein We Are Water” è l’acqua, così attuale anche nei suoi risvolti geopolitici. L'acqua non ha forma, ma assume la forma di ciò che la contiene; questo aspetto le conferisce libertà di azione o meglio libertà di essere: non ne cambia la natura, in quanto la sua essenza rimane intatta pur cambiando fisionomia. L’acqua, poi, fluisce in superficie come in profondità, non si arresta mai. Questo le conferisce potenza, nel suo duplice aspetto: può essere l'onda che travolge come la goccia che corrode la roccia, cosicché la sua energia può essere espressa sia nell'agire che nel perseverare. Nelle “pieghe” dell’album troviamo questa stessa adattabilità. Musicalmente ci troviamo infatti davanti ad un lavoro fluido, pieno di chiaroscuri e di colpi di scena. Le canzoni hanno la loro libertà di azione mutando stile lungo tutto il disco. Oltretutto - novità significativa per il gruppo - i testi sono in inglese, strumento al servizio delle linee melodiche e ritmiche. E sono proprio questi gli elementi sui quali anche dal vivo viene posta la maggiore attenzione, più che in passato quando il loro live era caratterizzato dalla forma "concerto-spettacolo". In questo lavoro i colori musicali di riferimento per le nuove composizioni di Epsilon Indi potrebbero essere collocati tra Brian Eno e The Cure passando per Rachel Unthank e Divine Comedy, ma qualcuno potrebbe ritrovarvi gli stravaganti e ricchissimi arrangiamenti di Sufjan Stevens. Questo lavoro risulta così pieno di sfaccettature e riflessi che collocarlo in un genere sarebbe forse fuorviante: la musica ed il linguaggio per immagini degli Epsilon Indi sono semplicemente la musica ed i segni del nostro tempo, amati, digeriti, assimilati e rielaborati a tal punto da diventare altro. In conclusione dire “Dove Noi Siamo Acqua” rappresenta dove noi ci sentiamo, dove ci riconosciamo come l'acqua nel nostro intimo, come e quando ci esprimiamo come l'acqua nella nostra vita. Il disco si apre con “Dawn”, manifesto dell’intero lavoro, un brano che parte in un atmosfera un po’ cupa che si dissolve grazie al crescendo finale, aprendo la strada alla strumentale “La Fenice”, dalla melodia accattivante, immersa in un situazione di semplice schiettezza. Forse si tratta di un pezzo fuori dal coro in questo disco, ma non essere prevedibili è da sempre una peculiarità degli Epsilon Indi. “Shine” è il primo singolo estratto da “Wherein We Are Water”, supportato dal video - realizzato dagli stessi Epsilon Indi - incentrato sul tormentato volto di Alex Romagnoli, la voce di molti brani del gruppo. “Clouds and Other Things” è un brano lento e contorto, un pezzo che sembra non finire mai non avendo – a prima vista... – una struttura ben definita. Qui la voce di Alessandro Bruno si intreccia con le complicate armonie di pianoforte ed archi costruite da Sergio De Vito. L’atmosfera si fa rarefatta con “Just a Game” dove spicca l’accesa ritmica di Giulio Caneponi. Il brano volge al termine con un cambio di situazione, tipico della formazione romana, e prepara alla marziale andatura che contraddistingue “Rainy Day”. Le lunghe liriche di Simone Bertugno vengono interpretate quasi “teatralmente” dalla sua voce profonda. Ancora un cambio di atmosfera per far spazio ad un brano leggero, quasi evanescente come “Unreal”, che si presta felicemente alle fantasticherie divertite della band. Giungiamo così al secondo episodio strumentale del lavoro, “Blinking Hands”, un brano che ci porta su territori esplorati dagli Epsilon in passato. La parte centrale, con il dialogo tra le mani e il basso di Antonio Leoni, ci culla sulla superficie di quell’acqua che viene evocata in tutto il lavoro. Si nota anche la presenza alle tastiere di Armando Rossetti. “We are Water” è il brano che da’ il titolo all’album, una ballata struggente e romantica, semplice nella sua elaborata delicatezza: è il brano che prepara il finale, tutto in crescendo, del disco. Il trittico conclusivo si apre con un terzo strumentale “Ocean Lullaby”, lungo, tormentato, pieno di cambi e di colpi di scena, un brano che potrebbe essere l’ideale colonna sonora per un racconto teatrale o una pièce di danza. Qui la vicinanza quasi trentennale tra Antonio Leoni e Sergio De Vito offre un esempio di come un brano possa evolversi in maniera impalpabile. Arriva quel fulmine a ciel sereno che è “Blurred Soul”, una scossa d’energia, oltre ad un esperimento compiuto mettendo le parole al “frullatore” da Alessandro Bruno, il tutto magistralmente sostenuto dalla ritmica incalzante di Antonio Leoni al basso e di Giulio Caneponi alla batteria. Questo brano secco e duro ci traghetta verso il finale “The Rainbow’s End” in un crescendo emozionale struggente e tragico. Il cerco si chiude dopo un’ora di ascolto serrato.