recensioni dischi
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HERSELF  "Herself"
   (2012 )

Giunto al quarto disco ufficiale, dopo fortunati lavori usciti per Jestrai Records, e molti episodi minori per etichette straniere, Gioele Valenti aka Herself approda in casa DeAmbula Records, label indipendente che può annoverare in scuderia importanti artisti come Ulan Bator e Pineda (Umberto Giardini). Registrati in parte in studio e in parte a casa, i tredici brani dell’ultimo “Herself” coniugano la scrittura intimista folk lo-fi, che da sempre caratterizza il progetto, con le venature gothic di tradizione anglo-americana e con un suono dagli evidenti echi canterburiani e psichedelici: rilevante in tal senso l’apporto di Aldo Ammirata (bass, cello). Album diretto, nondimeno di lunga gestazione, “Herself” finisce per intrappolare un vasto spettro emotivo, tanto ampio quanto estesa sa essere la gamma cromatica esistenziale, tra abisso, stato di grazia e perdita, lungo le direttrici di un concept che parla del cambiamento e dei processi alchemici sottesi. Le consuete ballate acustiche in stile home-made-tapes, sbilenche e sporche di rumore ambientale, sposano suggestioni shoegaze, per una voce fragile che incide in case vuote, santuari sconsacrati e studi spersi nella campagna mediterranea (Vertigo Recording). Idealmente a metà tra Bill Callahan e Sophia, il suono di Herself stavolta si arricchisce della collaborazione di Amaury Cambuzat (Ulan Bator) – che oltre ad aver suonato nei brani “Sugar Free Punk Rock” e “How You Killed Me”, ha curato il mastering del disco – e Marco Campitelli (The Marigold), intervenuto sui brani “Something In This House” e “Passed Away”.