recensioni dischi
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JOHN MAYER  "Born and raised"
   (2012 )

Se fosse un libro sarebbe certamente “On The Road” di Jack Kerouac. Un viaggio lungo e difficile che attraversa le mille pieghe di un’anima ferita, ma che ritrova finalmente, dopo un lungo tragitto, “A face to call Home”. Da Ovest a Est, dalle spiagge lunghissime di “Queen of California” fino alle più familiari certezze di casa, ''Born and Raised'' (letteralmente nato e tirato su) colpisce per la sua forte venatura di musica country. Brani come “Love is a verb”, “The Age of Worry”,”Born and Raised”e “Whiskey Whiskey Whiskey” deviano dalla solita armonia blues che ha da sempre caratterizzato la Fender di Mayer per avvicinarsi ad un ritmo più Western ma allo stesso tempo diretto e piacevole (complice senza dubbio l’utilizzo della lap steel guitar tipica della musica Country). Passando tra i rossi tramonti del deserto roccioso, le stanze di motel e tra le note di Crosby e Joni Mitchell, “Born and Raised” segna la fine di un passato fatto di ombre oscure e l’inizio di un futuro diverso che porta l’artista a credere in sè stesso dopo un periodo difficile. Prodotto da Don Was (B.B.King e Rolling Stones) e registrato negli studi di New York e di Los Angeles, John Mayer confeziona 12 tracce che arrivano fino in fondo. Un album diverso da quelli precedenti ma che, a suo modo, ritrae Mayer sotto una luce inconsueta e che racchiude in sè un significato profondo e difficile da condividere. (Nicola Trevisani)