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THE CURE  "Bestival live 2011"
   (2011 )

Quello che Robert Smith definì come l’unico concerto dei Cure per il 2011 (anche se abbiamo visto non essere stato così), diventa ora un live ufficiale della discografia smithiana. Un concerto che sarà ricordato molto più per la location, che non per la particolarità dello spettacolo offerto ai sostenitori. Intendiamoci, è stato un concerto dei Cure. Questo, da solo, basta ad ogni fan per ritenerlo ben sopra la media degli altri spettacoli musicali offerti da qualsiasi altra band del pianeta Terra. Tuttavia, lo show di settembre non rimarrà in cima ai live set di Smith e soci, stazionandosi nella media Cure (e non andando, insomma, sopra le righe). Allora, la domanda che dobbiamo porci è il perché questo spettacolo, a pochissimi mesi dal suo compimento, diventa già live ufficiale? Come spesso è accaduto in passato, la risposta arriva direttamente da Robert Smith che, intervistato dal magazine NME, afferma: “Abbiamo passato un gran momento all’Isola di Wight, durante il Bestival e, per questo, abbiamo voluto pubblicare lo spettacolo come modo per ringraziare i fan e gli isolani. Il Bestival è il meglio”. A questo appello rispondiamo, senza indugi, acquistando il doppio cd, commentandolo in maniera più distaccata e fredda rispetto alla recensione scritta solo poche ore dopo la fine dello spettacolo. La copertina riprende un’istantanea del palco (così lontano da non distinguere i protagonisti on stage); la scelta è quella di focalizzare l’attenzione soprattutto sulla folla oceanica che il giorno 10 di settembre si era radunata presso la Robyn Hill Country Park dell’isola di Wight, sede del festival musicale denominato Bestival. Domina il buio e alcuni riflessi rossastri, mentre i titoli, sui quali fanno capolino alcuni cuori, ci rimandano ad una certa mentalità “peace love & rock’n roll”. Come già accaduto in passato, la band si impegna in opere di beneficenza. Per il presente lavoro, Smith e soci hanno deciso di destinare tutti i profitti derivanti dalla vendita alla “Isle of Wight youth trust”, un’associazione di volontariato impegnata nel sostegno e la promozione delle attività dei giovani dell’isola di Wight. I credit, inoltre, confermano quanto conosciuto (ormai da tempo) in merito alla line up: Robert Smith (voice, guitar), Simon Gallup (Basses), Jason Cooper (drum) e Roger O’Donnell (keyboard). Ecco la grande novità di questo live e, più in generale, di tutti i Cure targati 2011. Il festival dell’Isola di Wight vede il ritorno del tastierista di “Disintegration” che, grazie a questa pubblicazione, può vedere ancora il suo nome all’interno di un lavoro ufficiale dei Cure, dopo l’allontanamento deciso da Smith nel 2005. Il vero discorso di critica musicale sta proprio qua. Ovvero, constatare come suonino i Cure, per la prima volta nella storia, in formazione a quattro e con una sola chitarra (con l’eccezione del 1980, quando la band pubblicò il capolavoro di “Seventeen seconds”). Un’altra scommessa che il capitano si sente di affrontare sul palco del Bestival. La scaletta riproduce fedelmente ciò che accadde nella serata del 10 settembre, facendo ritornare tutte le emozioni dell’evento. A giudizio di chi scrive, inoltre, operazioni di questo tipo non fanno che aumentare la qualità o l’interesse per il cd: una pubblicazione live, fedele riproposizione di un concerto, è (senza dubbio) assai preferibile a quelle in cui il prodotto è volutamente artefatto, la scaletta è modificata, sono tagliate le parti meno riuscite, ecc. Un live è un live e questo deve essere vero anche quando lo spettatore è comodamente seduto sulla poltrona di casa! Il PLAY dello stereo ci fa entrare nel clima concerto: le note di “Plainsong” introducono al meglio il nuovo lavoro dei Cure. L’apripista di “Disintegration” è stata utilizzata da Smith innumerevoli volte per introdurre gli spettacoli. Il brano si giova del ritorno delle tastiere, in un contesto sonoro che contribuisce a dare un’atmosfera più avvolgente e meno dura; una sorta di ritorno alla “Plainsong” del passato. Con “Open”, i Cure suonano un altro brano da dieci e lode (la canzone, al pari di “Plainsong”, è stata utilizzata moltissimo per rompere il ghiaccio nei live set dei Cure). Il suono è pulito ed “Open” rimane sufficientemente “chitarristica” anche con la sola presenza di Smith alle sei corde. Immagino che molti si stropicceranno gli occhi, leggendo che il solo leader si prende carico dell’intero muro sonoro creato con una sola chitarra! Si ripesca da “Disintegration” per suonare, con “Fascination street”, una delle più celebri canzoni di tutto il 1989, mentre “A night like this”, senza la seconda chitarra, è efficace ma perde i connotati di tipica rock song (anche se in forma meno evidente, lo stesso discorso deve essere riproposto per la successiva “Push”). Il suono è pulito e gli strumenti si sentono alla perfezione; il cantato risulta piacevolmente in primo piano ed il vociare del pubblico è sufficientemente presente da ricordarci che quello che stiamo ascoltando è il documento ufficiale di un concerto musicale. Da questo momento, il disco/concerto lascia il posto a quei singoli che il gruppo ha realizzato negli anni e che hanno contribuito a creare la forza pop dei Cure, unita (e non contrapposta) all’immagine dark del gruppo. “Just like heaven” e “Primary” sono tra le tracce migliori del disco (in questo caso si crea una perfetta alchimia tra tutti gli strumenti); in “The walk” e in “Let’s go to bed” le tastiere di O’Donnell ed il basso di Gallup sono gli strumenti dominanti, complici nell’avere riportato il pezzo ai suoi più tipici connotati dance; “Friday I’m in love” ed “Inbetween days” (ancora Gallup in primo piano) sono meno tirate del solito, ma piacevolmente sognanti. Da “Seventeen seconds” i Cure concedono “Play for today” ed “A forest”. La prima appare più lenta rispetto alle recenti esibizioni, mentre l’eterno manifesto dei Cure è invariabilmente coinvolgente: oggi dal piglio più riflessivo e meno rock. L’accoppiata “One hundred years” ed ”End” rappresenta un altro vertice del disco. Il cantato di Smith appare particolarmente ispirato e, nonostante le canzoni richiedano per natura un muro sonoro più ampio, il risultato è, comunque, eccellente. La sorpresa nella tracklist sta in “The caterpillar”, singolo tratto da “The top” (1984). Da tempo immemorabile la folle canzone non faceva capolino nei concerti dei nostri. Ebbene, riascoltandola abbiamo l’impressione, invece, che la band non abbia mai smesso di proporla live, tanto è la naturalezza d’esecuzione e la sua efficacia. Durante l’esecuzione di “The lovecats”, Smith appare estremamente ispirato e sereno (il cantato è quasi spezzato da una risata!) e, contemporaneamente, viene immortalato il coro del pubblico a sostegno del celebre brano swingante. Tra i capitoli più riusciti c’è senza dubbio “Close to me”, in cui chitarra, tastiere e basso si rincorrono alla perfezione per una pop song davvero difficile da raggiungere per genialità. Sul versante down, invece, possiamo affermare che “The hungry ghost”, tratta dal recente “4.13 dream”, non brilla per efficacia, risultando troppo debole senza la seconda chitarra. Quando sul finire del secondo cd, la band propone gli encore costituiti dal primo periodo del gruppo, ci tuffiamo, con la mente, nella bolgia del concerto. “Boys don’t cry”, è riuscita nel suo ritmo leggermente più rallentato; “Grinding halt” è un portento post punk che la sola chitarra di Smith è capace di rendere al meglio, e “Jumping someone else’s train” si trasforma da punk a wave, attraverso le tastiere di O’Donnell. Il disco/concerto si chiude con una delle migliori canzoni del repertorio Cure. Quella “Killing an arab” (i compilatori hanno voluto modificarne il titolo con un più politically corrrect “Killing another”) che non riesce proprio ad invecchiare; è il primo singolo della ditta, ma risulta forte ed impetuoso anche a distanza di 33 anni, rimanendo affascinante e tirata anche quando la line up cambia in continuazione. Insomma, che ci siano due chitarre, che ci sia la tastiera, che siano presenti entrambe, “Killing an arab” è, e rimane, un prodigio. Ma questo è tutto troppo vero e troppo facile, quando le parole escono impetuose dalle corde vocali di un personaggio così straordinario. È questo il vero collante dei Cure; è questo che consolida la leggenda. (Gianmario Mattacheo)