THE SMITHS "Strangeways, here we come"
(1987 )
Non sarebbero finiti nelle patrie galere ("Strangeways", appunto, come se da noi un gruppo intitolasse un disco "Rebibbia, stiamo arrivando"), ma semplicemente nella malinconia di chi li aveva amati. Sia i primi arrivati che gli ultimi. I tanti, ultimi. Perchč Morrissey e Marr, quando danno alle stampe questo loro ultimo album ufficiale come Smiths, sono giā da un'altra parte, a chiudere una carriera di gruppo tanto rapida quanto proficua - tra album ufficiali e raccolte dei tanti singoli che uscivano tra un lp e l'altro - e che li aveva portati ad un successo forse imprevisto. Certo, per chi inizialmente nemmeno ne voleva sapere, di video e altre sciocchezze da promozione discografica, passare a cantare "Borseggiatori del mondo unitevi" a Sanremo, il salto era stato forte. Ma era sempre rimasta una certa coerenza di fondo. Questo uscė nella malinconia dell'autunno, e tutto sommato non fa capire che, dietro, volavano gli stracci. La ninna nanna di "Girlfried in a coma", ad esempio. O "Last night I dreamt that somebody loved me", ennesimo grido disperato di chi, nel quinquennio, era diventato il paladino dei disadattati affettivi. Certo, era ironico che si cantasse "I started something I couldn't finish" proprio quando si stava concludendo qualcosa che, evidentemente, gli Smiths ritenevano davvero finito. E, vista anche la storia successiva di Morrissey, non si poteva certo dire che fosse lui la "dead star" di cui si parla in "Paint a vulgar picture". Poi č chiaro, i puristi potevano storcere il naso di fronte alla commercializzazione di qualcosa che prima - chissā - apparteneva solo a loro. Ma la storia degli Smiths dimostrava come, pur con ben poco appeal per le teenagers (anche se Morrissey un curioso fascino da cucciolone poteva anche averlo) e apparente poca attenzione al look - anche se i loro pochi video e le loro tante copertine avevano marchi di fabbrica davvero inconfondibili - gli anni '80, quando trovavano del genio, lo sapevano valorizzare. Peccato fosse giā finita. (Enrico Faggiano)