recensioni dischi
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VASCO ROSSI  "Vado al massimo"
   (1982 )

Eppure qualcosa si muoveva, pur se quella generazione ancora non sapeva di essere “senza santi né eroi”.

Vasco all'epoca compie 30 anni, e il grande passo di Sanremo sembra quasi un’esagerazione, per chi stava macinando album d’underground, sapendo di aver già prodotto roba da renderlo immortale, ma che ancora troppi non sapevano esistesse. E allora eccolo al Festival, riuscendo a rimanere sé stesso con il reggaettino della title track: è inevitabile che le radio inizino a farlo diventare un fenomeno, benché le classifiche continuino, chissà perché, a tenerlo a mezza via.

“Vado al massimo” è un altro lavoro in cui c’è poco da scartare, se proprio qualcuno lo dovesse fare, e dove certe atmosfere funky prendono il posto di quella rabbia che aveva caratterizzato tanti passaggi precedenti. Rabbia che rimane (“Credi davvero”, in primis), ma che fa posto anche ad una “Splendida giornata” che sarebbe potuta diventare l’hit dell’anno, se solo fosse stata incisa in inglese da qualche estemporanea band di bellocci, o al curioso “Amore…” (divenuto, chissà perché, “Amore… aiuto” nella ristampa), che proprio una love song non è.

Altro tourbillon di stili e di stati d’animo, presenta la durissima “Sono ancora in coma” iniziale che vuole far subito capire che le cose non sono cambiate, ma anche la dolcezza di “Ogni volta” o di quella “Canzone” che, almeno all’inizio, era stata dedicata al padre da qualche anno deceduto. E’ un capitolo importante, dove Vasco lima un po’ certi passaggi per provare a strizzar l’occhio alle masse – insomma, non è più tempo di sgozzar figli – senza però sputtanare la sua voglia di essere, come prima cosa, Vasco Rossi e niente altro. Il successo clamoroso era alle porte, e lui ci si stava solo preparando, dolcemente, piano piano (ah no, questa è un’altra canzone). (Enrico Faggiano)