CURT SMITH "Soul on board"
(1993 )
Anno di derby, il 1993. I Tears For Fears come li conosciamo si lasciano, magari tirandosi addosso qualche disco d’oro e altre cose che, in una decina d’anni di carriera, erano riusciti a conquistarsi. Vie separate, e nuove uscite discografiche molto, molto ravvicinate. Mentre Roland Orzabal continuò con il marchio famoso, Curt Smith ci provò con il proprio nome, desideroso di far capire al mondo che, insomma, anche lui non è che fosse poi tanto male, in un sodalizio dove inizialmente la sua voce appariva spesso e volentieri (tutti i fortunati singoli dal primo album) e poi, invece, mandato nelle retrovie come un Andrew Ridgeley qualsiasi. Qui, però, non è che ci sia poi tanta roba per gridare al miracolo: “Soul on board” infatti, pur citando la famosa “anima” nel titolo, uscì come ciambella senza buco, e con l’ulteriore zavorra della poca promozione fece flop, affossando Curt Smith e le sue velleità di successo solista. Motivo? Disco scolastico, nemmeno tanto spiacevole ma senza un vero e proprio motivo per risentirlo, che andava alla ricerca di quell’adult oriented pop, magari con venature appunto soul, che specie in quei primi anni ’90 in giro si sentiva anche. Ma che magari qualche altro (un Michael Bolton?) riusciva a fare meglio. Lo stesso Smith avrebbe poi rinnegato l’opera, fatta più per doveri discografici che altro, in una storia che ricorda quella di “Scrivimi una canzone”, film dove Hugh Grant è, appunto, la popstar dimenticata e che sparisce dietro le fila di un compare molto, molto più fortunato. Bocciato alla prova da solista perché non ci aveva messo il cuore: idem con patate, pur se la title track e qualche altro passaggio proprio male non sono. In Italia si direbbe che è un disco sanremese, ecco, per farvi capire: piacevole ma inutile, tutto sommato. Il derby venne perso, e la paura di far la fine del Ridgeley già citato o dell’italico Mauro Repetto (peraltro, genio incompreso del ventesimo secolo) fu forte. Ma la cosa curiosa fu la totale lontananza dal sound antico dei TFF, quello in cui Smith era leader: per intenderci, “The seeds of love” era molto più vicino a questo album che non “The hurting”, come se Curt avesse cercato fin troppo di seguire le ultime manie di Orzabal. Sindrome di Stoccolma? (Enrico Faggiano)