recensioni dischi
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JOVANOTTI  "La mia moto"
   (1989 )

Altro che “E’ qui la festa”. Ne eravamo infestati: tv, radio, un programma che lui stesso presentava, e uscite discografiche con ritmi che nemmeno Zanni Morandi nei favolosi anni ’60. Come tutte le cose che spaccano il video, o lo si amava, o lo si odiava. Non lo si poteva non mandare a Sanremo, anche perché era da odiens che venisse presentato da Rosita Celentano, all’epoca etichettata come fidanzatina del fanciullo (che, peraltro, con le figlie d’arte ci sapeva dar dentro, citofonare Tiziana Baudo). Scritta anche una dimenticata canzone per le sorelle Boccoli – sigh -, all’Ariston arrivò anche Lorenzo, con i suoi passi da cavalletta, il suo chiodo rosso, e l’indimenticabile ritornello “no Vasco io non ci casco”, chiuso con l’immortale “perché io non mi fido di chi non suda mai”. Sudi, o no, insomma? Con le sue schitarrate campionate, era difficile definirlo un capolavoro. Album, album, premevano tutti. Arrivò: tra offerte di gadget e altri orpelli, “La mia moto” non è certo una pietra miliare della musica italiana, ed ebbe meno impatto mediatico di “Gimme five”. Però, diciamolo pianopianosottovoce, qualcosa di interessante ce lo aveva, ‘sto vinile. Era dance, c’era ritmo, magari troppo sintetico, ma era cantato in italiano. OK, non erano testi per cui Mogol o De Andrè avrebbero potuto pensar di chiudere bottega pensando all’“Ubi maior”, perché 'Io sono Jovanotti il capo della banda se vuoi essere dei nostri devi fare domanda' stava bene, al massimo, nel jingle della CiaoCrem nei ’70. Però, in un mondo totalmente anglofono, dove in italiano ormai si dilettavano soltanto i cantautori, era un discreto atto di coraggio. Poi non si entra nella storia con “Ci si sKiaccia”, però lo sforzo era da apprezzare. Anche perché, alla luce di DJ Francesco, suo futurclone, questa sembra davvero arte. (Enrico Faggiano)