recensioni dischi
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MANGO  "Inseguendo l'aquila"
   (1988 )

Fosse un calciatore, si direbbe che non riesce ad avere continuità. O, più semplicemente, che rende solo in determinati contesti. Mango usciva dal grande successo di “Adesso” e di quella “Bella d’estate” che gli aveva anche aperto – in lingua ispanica – mercati internazionali. Eppure, alla prova successiva, le platee non lo seguirono come ci si sarebbe aspettati. Il primo problema di “Inseguendo l’aquila”, se così si può dire, era la data di uscita: autunno inoltrato, e non la solita, ospitale estate. Strano ma vero, fu come giocare fuori casa, tanto che il ragazzo capì l’antifona, e non avrebbe più commesso l’errore. Il secondo problema era quello di un disco mezzanino, dove si sarebbe anche voluto andare oltre l’elettronica, specie in un momento in cui il trend era quello di scavalcare gli ‘80s, ma senza ancora una vera e propria direzione. Così il lavoro diventava ripetitivo, anonimo, con anche liriche che a partire dall’iniziale “Ferro e fuoco” (il prodotto comunque più riuscito del disco) non riuscivano a dare alla gente ciò che da lui ci si aspettava. Ovvero, sentire il profumo del Sud Italia senza cadere nelle retoriche di tanti altri che, come lui, da lì arrivavano. Ci sono comunque passaggi che meritano un ascolto, ma niente che sia veramente rimasto alla memoria. Mango avrebbe imparato la lezione, e nei lavori successivi sarebbe riuscito a mantenere i suoi marchi di fabbrica (orchestrazioni su tastiere e suggestive liriche mediterranee) con rinnovata ispirazione. E, soprattutto, uscendo in estate e non nel plumbeo autunno. (Enrico Faggiano)