recensioni dischi
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MANGO  "Australia"
   (1985 )

Era ad un passo dal salutare la truppa e cambiare mestiere. I tre album precedenti non avevano smosso niente, e lo stavano usando come propellente per l’invio in classifica di Scialpi (a cui lasciò una “Nero e blu” già uscita qualche tempo prima, oltre a cori ed altri aiutini per l’album “Estensioni”). Niente da fare, e la voglia di tornarsene dietro le quinte era tanta. Poi, da un momento all'altro, trovò la sua strada: lontano dalla bucolicità quasi anonima degli anni ’70, da sonorità ancora assolutamente acerbe, si avvicinò ad una delicata elettronica – cosa non immediata nel mondo cantautorale degli ’80s – e scodellò un singolo, “Oro”, che aveva la collaborazione di Mogol e, pur senza riscuotere gran successo, lo mandò forse per la prima volta nelle radio. Si alzarono quindi le sue quotazioni tra gli addetti ai lavori, con conseguente ripensamento a proposito dell’appendere il microfono al chiodo. Passò da un Sanremo 1985 (giovani, benchè il suo primo album fosse di quasi 10 anni prima) ancora pressochè inosservato, anche se “Il viaggio” vinse il premio della critica, poi “Australia” dimostrò che il ragazzo aveva capito. Non siamo ancora alla capacità di mettere a sedere l’ascoltatore e spalancargli finestre sugli scenari mediterranei che gli sarebbe diventati tanto cari, ma intantò già la stessa titletrack faceva intuire a cosa si sarebbe andati incontro. E anche il resto del lavoro, riscoperto comunque dopo aver raggiunto il successo, cominciava a tradurre in musica e synth il pensiero di Mango. Che aveva solo una cosa, da farsi perdonare: gli allucinanti capelli a spazzola che sciorinava all’epoca. Ma, d’altra parte, sembrava che a quei tempi non ci si potesse avvicinare ad una tastiera senza aver prima preso la scossa, come insegnava Howard Jones. (Enrico Faggiano)