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ORLANDO ANDREUCCI  "Istinto di conservazione"
   (2009 )

Quando mi sono imbattuto in questo disco di Orlando Andreucci ho pensato si trattasse del disco d’esordio di uno dei tanti buoni giovani musicisti presenti in Italia, invece sin dal primo ascolto mi sono reso conto di trovarmi davanti ad una voce matura, e così mi sono un po’ documentato ed ho scoperto che Andreucci ha quasi 62 anni ed è al suo terzo lavoro dopo “Fatti e parole” del 1998 e “Fuori orario” del 2003. “Istinto di conservazione” è comunque un disco particolare per molti aspetti, dal titolo che prospetta una visione del mondo come un elemento estraneo dentro o (forse meglio) fuori del quale sopravvivere, dalla copertina che riporta una foto in bianco e nero di Andreucci, poi ingrandita due volte ma sempre più sgranata quasi come fosse un’opera d’arte di quelle che a volerla “capire” meglio se ne debba per forza perdere i dettagli, dalla durata dell’intero lavoro che supera di poco la mezz’ora, dalla scelta di affidarsi ad un organico davvero scarno e minimalista formato dallo stesso Andreucci voce e chitarre, da Primiano Di Biase alla fisarmonica ed Ermanno Dodaro al contrabbasso. Con questi presupposti potreste pensare di trovarsi di fronte ad un disco indigeribile e fuori di ogni logica, ma niente di più falso. E’ certamente un disco fuori di ogni logica commerciale, che non guarda ad una calcolata appetibilità del prodotto, ma che presenta molti aspetti interessanti, a partire dalla voce di Orlando Andreucci che presenta un timbro molto caldo che potrebbe ricordare in prima battuta Gianmaria Testa, al quale rimanda anche per quel suo gusto per il minimalismo, però i rimandi a Testa si fermano qui, sia perché Andreucci ha un modo di porgere il cantato più lento e compassato, di uno che non ha fretta e soprattutto non vuole imporsi a chi lo ascolta ma solo porsi con grazia e tranquillità, con una sorta di cantato-parlato, sia perché musicalmente il suo approccio musicale ha molti riflessi jazz di matrice sudamericana, in primis Jobim e quindi soprattutto bossanova. Ma cosa ha da dirci Orlando Andreucci? Beh, non resta che prendere il disco ed inserirlo nel lettore e qui si ha la prima sorpresa, sebbene l’orchestrazione sia minimalista e la sua voce sia pacata, non c’è bisogno di innumerevoli ascolti prima di rimanere irretiti dal suo modo di cantare e raccontare, che lo rendono una sorta di cantastorie o di sommesso affabulatore, quasi che meno voglia imporre il proprio mondo poetico e quanto più invece ottenga l’effetto opposto. L’ascolto del disco parte con “Consigli da dare”, una canzone d’amore, piuttosto ritmata che recita: “Come faccio a giustificare / a ritrattare le convenzioni / sull’amore la vita il peccato e sulla stanza dei bottoni / come immagini che nella tua testa fanno giustizia del passato / e assomiglia a quel giorno di festa che non abbiamo mai festeggiato / come scioglie la lingua i capelli a nessuno l’ho mai visto fare / solo i fianchi non hanno parole, ma soltanto consigli da dare”. “Finzi Contini” è ispirata al famoso romanzo di Bassani ed è sorretta da una splendida dolente melodia condotta per mano dal contrabbasso di Dodaro che si intreccia con la chitarra di Andreucci, inizia con il parlato di Andreucci che canta-recita: “Saremmo stati bene così ci dicevamo / con i nostri pochi anni era facile andar lontano / tu e i tuoi calzini bianchi / io e i miei pantaloni corti / eravamo così piccoli da sembrare quasi adulti”, uno sguardo tenerissimo al passato e all’infanzia. Una fisarmonica apre “Il ricordo di tua madre” su note di tango, e ci troviamo ancora davanti ad una canzone che guarda al passato con vera poesia: “Non sarà il ricordo di tua madre / né il tuo corpo nato da un desiderio / a cambiare come fa l’estate / un sole caldo con un cielo nero / nella scelta / fatta solo per amore / dove la necessità è un inganno / e il ricordo è un profilo sottile / dietro una porta socchiusa di un bagno / Non sarà il ricordo di tua madre / a frenare le tue gambe e i tuoi pensieri / addormentati al sole ad asciugare/ l’acqua del mare e le lacrime di ieri”. E’ pura bossanova lo stile usato per “Se te ne vai”, canzone su un nuovo giorno: “Se te ne vai è un'emozione che non ho provato mai / finisce il giorno e la notte arriverà / chissà chissà di chi sarà / Se te ne vai saprò mentire / resistere ai miei guai / confondere la vita che non c’è che porti via con te / liberi di attraversare il mondo / con gli sguardi limpidi di un tempo / con l’ingenuità che ci porterà / a scoprire altri occhi altre mani ed una sola verità”. “La scelta di Sophie” è una canzone musicalmente lieve, parlata e sostenuta solo dalla fisarmonica e da qualche tocco di chitarra, e narra di una ragazza che cammina misteriosamente sull’acqua in uno strano parallelo con la figura di Cristo, e si chiude mestamente così senza l’atteso miracolo di una risurrezione: “La sensazione poi era diversa / leggero il corpo leggera la testa / che non sapeva più che santo pregare / mentre sopra c’era soltanto il mare/ una fortuna ai limiti della magnificenza / l’attesa si fa lunga non solo per la scienza / l’evento straordinario non si è più ripetuto / Sophie con un sorriso / che sembra un saluto”. Con “Libero” si torna alla bossanova e alla sua intrinseca nostalgia tra chitarra e fisarmonica, vi è racchiuso il mondo musicale di Andreucci come in un manifesto delle proprie intenzioni: “Chi ascolta tutto questo parla e non lo sa / gli ostacoli del tempo è la normalità / dura da digerire per chi non sa creare / provando e riprovando qualche cosa nascerà nascerà”. Si resta sempre nell’ambito di sonorità sudamericane ma più solari e calde con la splendida “Sarà la verità”, una splendida riflessione sulla vita troppo spesso piena di domande e vuota di risposte, vissuta alla ricerca di una verità solo sognata che forse appartiene solo all’immensità dei cieli: “Sarà la verità che non ha più parole / prima che canti il gallo sarà di nuovo sole / poi ci saranno notti che non puoi raccontare / di fiumi di parole che annegano nel mare / si affaccia lo stupore di saprà capire / che gli occhi sono poco per vivere o morire / ci vuole quella pelle dura da fare male / e tutte quelle stelle immobili a guardare”. E’ un tango il ritmo scelto per “L’altra faccia della luna”, con la fisarmonica a disegnare figure danzanti e volteggianti fino alla lunga ed intensa coda finale da applausi, bellissimo poi il testo su un rapporto difficile tra madre e figlia: “Ti rispecchia parla come te l’altra faccia della luna / assomiglia all’ingenuità che confonde la fortuna / si trasforma si assottiglia lei per sembrare come te / il passato non l’aiuterà un passato che non c’è / ti rispecchia balla come te sotto cieli appena nati / la tensione sale e salirà sotto sguardi incantati / parla ai cuori e delle parole non sa proprio cosa fare / è il suo corpo che trasmetterà solo sogni da sognare”. E’ lenta, trasognata, quasi sospesa nell’aria “Naturale”, canzone d’amore o meglio di un amore travagliato che non vuole risolversi, il brano è aperto da un intervento del contrabbasso: “Seleziono le parole / mentre mi rilasso al sole / ti semplifico la vita / vado via / l’esigenza è singolare / ti sorprende e un po’ fa male / non richiede convenzioni e lacrime né scene d’addio / sembra tutto naturale se non ci sei / mi facilita la vita e tu lo sai / torno in fretta sui miei passi e arrivi tu”. E’ ancora il contrabbasso ad aprire “La porta non sfiorò” ed a condurci poi per mano in questo breve ultimo episodio amoroso che emerge dal passato, come si evince dai tempi dei verbi giocati tutti al passato remoto: “Mi amò / con gli occhi mi mangiò / il fiato mi mancò / non seppi dire no / mi amò / guardando la sfiorai / stringendola l’amai / l’amai e lei mi amò / di te mi restano i perché / i come i dove e i se / che tengo stretti a me / mi amò / ed io non la fermai / di stucco lei restò / ti amo disse e andò / mi amò non mi deluse no / di taglio si involò / la porta non sfiorò / di te mi restano i perché / i come i dove e i se / che tengo stretti a me”. In definitiva posso dire di aver trovato questo “Istinto di conservazione” un disco molto interessante, che merita senza dubbio una buona valutazione che sarebbe stata ancora migliore se musicalmente avesse magari visto l’utilizzo di qualche piccola percussione a dar maggiore colore ed atmosfera, ma soprattutto se non peccasse dal punto di vista del libretto a corredo, quattro facciate in cui sono riportate la sola copertina, i titoli dei brani e i nomi de musicisti. Ciò che a me manca maggiormente sono senza dubbio i testi delle canzoni che proprio perché validi, avrebbero tratto giovamento dall’esplicitazione nel libretto, in proposito qualcuno in passato mi ha detto che non mettendo i testi si invita l’ascoltatore a porgere maggiore attenzione ai testi, sarà mai io continuo a preferire un bel libretto completo di testi e crediti. (Luigi Piergiovanni)