SCOTT MC KENZIE "The voice of Scott Mc Kenzie"
(1968 )
Un solo disco, due milioni e mezzo di copie vendute in tutto il mondo, primo posto nelle classifiche di vendita in molti paesi dei cinque continenti, Italia compresa. Si presenta con questo biglietto da visita Scott McKenzie al cocktail offerto in suo onore dalla CBS italiana, la casa discografica che, così come in Usa e nel mondo, ha distribuito in Italia il super 45 giri SAN FRANCISCO (BE SURE TO WEAR SOME FLOWERS IN YOUR HAIR), l'inno "commerciale" degli appartenenti al mondo del flower power, cioè degli hippies. La canzone è stata scritta da John Philips, leader dei Mama's & Papa's. Un successo clamoroso in tutto il mondo. Ora pare proprio che il fenomeno hippy stia diventando molto più commercializzabile di quello del beat, che ormai segna il passo. Certo, il fenomeno hippy del 1967 è ancora in embrione ed è tutta "apparenza". A Roma e a Milano c'era la moda, in quel fine anno '67, di vestirsi con le palandrane damascate e i ponchi e con sopra giri di collane molto vistose, tatuaggi removibili a forma di fiori da applicare sulle guance, cappelli a larga tesa. Tutte cose che naturalmente gli hippy veri, quelli facente parte del movimento pacifista californiano, non avevano. Prima di tutto perché, anche volendo, non se li potevano permettere, in secondo luogo perché non sarebbe mai venuto loro in mente di commercializzare un'idea o un modo di vivere al quale credevano veramente. L'abbigliamento hippy pret-a-porter della Standa così come dei sarti di grido, era solo una rivisitazione elegante dell'esplosione del flower power, esplosione che era avvenuta quell'estate, la famosa estate americana di amore, musica e pace partita dall' Haight Asbury di San Francisco (dove adesso c'è un negozio di dischi molto particolare chiamato Ameba) e dal Greenwich Village di New York. Una generazione di ragazzi e ragazze che vivono una vita spesso miserabile illudendosi di trovare nella marijuana, nella musica e nel libero amore la felicità. Fanno dei sit-in contro la guerra del Vietnam, contestano la società e i loro genitori istupiditi davanti alla televisione ma non danno nessuna risposta al quesito che loro stesso fanno: qual è l'alternativa? Non è certo possibile passare la vita fumando erba e fare sit-in (oddio... c'è gente che in Italia lo fa da quarant'anni senza rendersi conto di quanto sia ridicola e patetica, i famosi manifestanti di professione). Sono comunque loro le prime vittime della droga. Nella sola New York, in tutto il 1967, muoiono 2100 persone per eroina. Comunque il fenomeno tira e molto: I Beatles si sono vestiti da hippy un po' borghesi nel filmato di ALL YOU NEED IS LOVE. I Nomadi come i Rokes, hanno tirato fuori dal cilindro due canzoni che parlano del mondo hippy (UN FIGLIO DEI FIORI NON PENSA AL DOMANI e CERCATE DI ABBRACCIARE TUTTO IL MONDO COME NOI) e si vestono anche loro con quelle palandrane multicolori che vanno tanto di moda adesso. Per presentare in tv la canzone SOLE SPENTO, anche la Caselli si veste alla maniera hippy, così come Antoine e via discorrendo. E allora ecco tutto il marketing per diventare un vero figlio dei fiori, dalle magliette psichedeliche ai poster alle caramelle al gusto di marijuana. Al che, sapendo di essere stati messi in commercio in scala mondiale, i veri hippies, il 6 ottobre sfilano per San Francisco con bare e drappi mortuari per dichiarare la fine del movimento e i gruppi musicali che da quel mondo avevano tratto dei vantaggi iniziano a far le valigie per New York dove i contratti erano più consistenti e dove avrebbero consumato le ultime energie del peace & love per poi dare inizio ad una nuova decade, molto più violenta e poco incline ai fiori tra i capelli come segno di rivoluzione pacificista: gli anni settanta. E' quindi una moda e come una moda già nel 1968 scompare. L'ultima festa hippy sarà al Piper per il lancio della canzone di Patty Pravo LA BAMBOLA, nell'aprile '68. La moda hippy tornerà prepotentemente, ma con altri canoni estetici e di costume, alla fine del 1969, per durare fino alla fine degli anni settanta. E' in questo momento storico che spunta SAN FRANCISCO ed il fenomeno chiamato Scott McKenzie. Nato ad Arlington, Virginia, nel 1944, era un membro del complesso dei Journeymen, poco noti soprattutto al di là dell'oceano. Insieme a lui John Phillips. Quando Phillips lasciò il gruppo per fondare I Mama's & Papa's, McKenzie si staccò anch'egli dalla formazione e cominciò a cantare brani folk-rock alla stregua di Buffy Saint Marie, Bob Lind e Barry McGuire, finchè non incappò in quella che è stata sicuramente qualcosa di più di una semplice canzone di successo, SAN FRANCISCO, che diverrà la canzone di bentornato a tutti i marines reduci dal Vietnam che sbarcano proprio a Frisco mentre nei paesi dell'est diventa l'inno di quanti sono stati imprigionati soltanto per avere ascoltato musica occidentale. A scriverla, come detto, il suo amico Phillips che ne era anche il co-produttore. La canzone viene registrata tutta in una notte negli studi della L.A Sound Factory. Le liriche del testo sono forse ingenue e ad una lettura disincantata possono apparire un po' ridicole, ma bisognerebbe "entrare" in quel preciso momento e luogo per capirle. Oggi, che i cosiddetti pacifisti assaltano banche e prendono a sprangate poliziotti e negozi, non avrebbe più senso, ma allora e in quell'angolo di mondo, sebbene per pochissimo tempo, si è creduto davvero che si potessero cambiare le regole del gioco senza colpo ferire ma solamente con un sorriso ed un fiore fra i capelli. In Italia la cantò Bobby Solo che con il movimento hippy c'entra come il cioccolato sulla sogliola alla mugnaia, ma tant'è... McKenzie, naturalmente, non riuscirà a bissare un successo di tali proporzioni. Il suo LP, uscito all'inizio del 1968, si chiama THE VOICE OF SCOTT MCKENZIE e presenta anche il successivo singolo che si chiama LIKE AN OLD TIME MOVIE e in Italia esce con una copertina fuorviante che tende a ricalcare il nuovo boom del 1968, il ritorno agli anni trenta, di cui abbiamo ampiamente parlato in altre occasioni, che naturalmente con la canzone non ha niente a che vedere. Ma il disco vende pochino anche perché il posto di McKenzie, nel cuore del volubile pubblico italiano, lo prende anche se solo per un quarto d'ora un altro americano, David McWilliams, quello che ha scritto THE DAYS OF PEARLY SPENCER (IL VOLTO DELLA VITA) che guardacaso, a McKenzie ci assomiglia un pochino (e non solo per il suffisso scozzese del cognome). (Christian Calabrese)