recensioni dischi
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PET SHOP BOYS  "Yes"
   (2009 )

A casa loro, se ne sono accorti poche settimane prima dell’uscita di questo disco, quando sono stati premiati alla carriera: è stato riconosciuto che, insomma, essere in giro da 25 anni non è proprio una bazzecola, e il tutto ha rimesso in moto l’interesse verso questi due signori qua. Che intanto non si sono messi in pensione, come avevano anche pensato di fare quando, all’arrivo del grunge e al passaggio di moda del loro genere, le classifiche non furono più così benevole nei loro confronti. “Yes”, alla fine, è esattamente quello che da loro ci si aspetta: sarà forse anche frustrante, per chi magari nella propria testa vorrebbe fare qualcosa di diverso – ci provarono anche, con “Release”, ma le risposte non furono esattamente entusiastiche – ma che, alla resa dei conti, quando si mette a fare del pop puro, non è secondo a nessuno. Ma mai come in questi casi, se si può dire, il motto “nessuna nuova buona nuova” è di prassi, mentre il mondo riconosce loro lo status di filosofi di un certo genere (Brandon Flowers, leader dei Killers, ammette “io nella vita volevo diventare uno dei PSB”) e nessuno si preoccupa più di ricordare che “It’s a sin” vendeva un pochetto di più. Il bello di “Yes” è che sarebbe potuto tranquillamente uscire 10, 15, 20 anni fa, senza particolari problemi: ovvero, la capacità di restare fedeli a se stessi senza però dover tutte le volte ripetere la stessa canzone. Magari non ci saranno particolari ganci per attirare le nuove leve – sebbene ce ne siano ampi motivi, perché le dub version di molti brani, inseriti nel CD presente nell’edizione speciale, non sfigurerebbero nelle odierne discoteche – ma, se siete stati amanti dei Pet Shop Boys degli anni ’80, qui troverete note per le vostre orecchie. A partire da “Love etc”, singolo d’esordio, fino a “Pandemonium”, l’esatto bignami di cosa Tennant-Lowe hanno fatto in questo quarto di secolo. “More than a dream”, “The way it used to be” e “Building a wall” restano nell’eccellente mix di allegria malinconica (o malinconica allegria?) tipica del loro genere, che diventa più festoso in “Did you see me coming?” e più autunnale in “Legacy”. E, per chi è rimasto con la mente al 1984, nella special edition si trova anche “This used to be the future”, con alla voce Philip Oakley. Ovvero, il signor Human League. Sottovalutati, ridotti da anni ad essere considerati una specie di retro-gay-act, i Pet Shop Boys sono soprattutto degli artisti. Che non tradiscono mai, e che se fossero stati solo un po’ meno pigri, o un po’ più seguaci delle mode, forse ora sarebbero ancora più famosi. Ma loro la moda non le hanno mai seguita: l’hanno fatta. Un po’ alla volta, questo verrà loro riconosciuto. (Enrico Faggiano)