TIMECUT "Timecut"
(2008 )
Quello che mi ricorda: un viaggio per le strade di una metropoli moderna, una giornata oscura di un novembre appena da cominciare. “Timecut”, disco che prende il titolo dall’omonimo trio formatosi nel 2004 e che all’attivo ha già un album, l’apprezzato “Exeptions”, suona duro al primo impatto: la sequenza introduttiva “Pianoloud” – “The Meat Show” – “’Bout you selfish” potrebbe mettere fuori uso il vostro satellitare, se la state ascoltando in macchina. E non potrei immaginare luogo migliore per immergersi nelle sonorità dark di questo gruppo: un viaggio reale per accompagnare il percorso intimo che indicano le tracce seguenti, “Incubo”, “Doublethink Revival” ma soprattutto “Watch me”, in cui in alcuni momenti mi è sembrato riecheggiasse l’ultimo Peter Gabriel di “Up”. Soprattutto in quest’ultima sequenza, forse più sognante di quella introduttiva – certamente meno movimentata – si può finalmente arrivare al cuore pulsante e vivo di “Timecut”, punto dove la creatività compositiva raggiunge forse il suo apice e alcune deviazioni sonore convertono l’ascoltatore all’ignoto. La forma-canzone classica, sostenuta da una voce in tema con le caratteristiche di fondo sopra menzionate (semi-oscurità novembrina, atmosfera urbana) viene interrotta da divagazioni musicali di gran pregio, come il dialogo delle chitarre da 2.17 di “My flesh coffin” – quasi meglio del sesso, oserei dire. Il disco si lascia ascoltare già dal primo inserimento ma in realtà è bene soffermarsi, lasciare che la rabbia distruttiva di “London Grey” lasci spazio alla riflessività di un regalo finale, “The Gift”, davvero eloquente. Un’ultima nota finale: apprendo, dai vari siti che ho visitato prima di mettermi a scrivere la recensione, che i Timecut stanno cercando di integrare dei visuals nei loro concerti. Ecco, non credo ci sia niente di meglio per queste canzoni: un supporto visivo che accompagni l’ascoltatore in un viaggio a tutto tondo in una realtà cittadina magari cupa, ma non priva di fascino e sorprese inaspettate. Multimedialità. E commistione dei generi: ecco la chiave per capire il futuro. Ecco un motivo per andarvi ad ascoltare un concerto dei Timecut. Loro sono il futuro che si compie, nell’elettronica che fibrilla sugli arpeggi rock, nella voce dalle tonalità dark che man mano, impercettibilmente, svanisce in “The Gift”. Questa è la cronaca del nostro tempo, vissuta senza nostalgie o frustrazioni. Un buon lavoro, insomma. (Vittorio Tovoli)