recensioni dischi
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VANCOUVER  "Even my winters are summers"
   (2008 )

I Vancouver si formano come gruppo strumentale nel 2002, registrano un demo e iniziano a farsi notare con l’attività live. All’inizio del 2004 Alain Marenghi entra nella band come tastierista, aggiungendo il cantato a tre episodi dell’ep “Great News From The Foggy Town” uscito autoprodotto (sotto il marchio Recycled) all’inizio del 2005. I sei episodi del disco alternano una miscela di suono strumentale e dilatato ad episodi più lirici, e fruttano numerose recensioni positive e l’inserimento da parte del magazine Blow Up tra i dieci miglior esordi indie dell’anno. L’attività live prosegue per tutto il 2005 e per parte del 2006, quando la band si ferma per lavorare sui nuovi pezzi incisi all’inizio del 2007 alla Fabbrica di Plastica sotto la guida di Mourice Andiloro. Vede così la luce a giugno 2008 questo “Even My Winters Are Summers”. Il disco nasce dall’incontro tra un tessuto post rock abbastanza canonico ed un cantanto fortemente influenzato dal brit, Pulp e Stone Roses su tutti. L’emotività è l’obiettivo fondamentale del modo di fare musica dei Vancouver, che non a caso si definiscono scherzosamente “i Gigi D’Alessio dell’indie”. I testi puntano invece sulla narrazione, e sono dei piccoli racconti, influenzati dai motivi più disparati: un disco degli Smiths come un albo dei Peanuts o un articolo di cronaca nera (''Jennifer''). Il titolo stesso è una citazione di una battuta finale di una striscia della banda di Schultz che ha per protagonista Charlie Brown (a cui è anche dedicato un pezzo, ''Pitcher’s Song''). In questa striscia Charlie visita la collinetta del lanciatore durante il periodo di pausa invernale e, provando un lancio nell’aria cade all’indietro, come gli capita sempre durante la stagione estiva, dove viene puntualmente scaravoltato dalla battuta degli avversari che non riesce ad eliminare. E qui pronuncia la fatidica frase “Even my winters are summers”. Ecco in questo episodio c’è tutto il disco: il paradosso, la sconfitta, l’ironia un po’ amara e il succedersi delle stagioni.