recensioni dischi
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DECORYAH  "Wisdom floats"
   (1993 )

Parlare dei Decoryah significa, per il sottoscritto, parlare di uno dei gruppi più particolari degli anni '90. Una sorta di meteora che è sparita dopo aver lasciato due album e un mini-CD (oltre a un rarissimo 7" del 1993). Il loro album d'esordio, questo "Wisdom Floats" appunto, riscosse molti consensi tra gli addetti ai lavori, e le fanzine orientate verso certi suoni (dark, doom et similia) non fecero mancare il loro appoggio ai quattro finlandesi, guidati dallo spirito scuro ma calmo del chitarrista/cantante Jukka Vourinen. L'album, forse perché prodotto dall'elvetica Witchhunt Records, "girò" prima nei circuiti death/doom e affini, prima di trovare la propria precisa - se mai ne possa avere una! - collocazione: senza troppi giri di parole se qualcuno avesse spacciato il master di "Wisdom Floats" per "bobine ritrovate in un cassetto" registrate ventitre anni prima dai "..." (inserire il nome della prima oscura dark prog band degli anni '60/'70 che vi viene in mente), beh, credo che ben pochi avrebbero battuto ciglio. Infatti si comincia dalla produzione/registrazione alquanto deficitaria: l'album ha dei suoni che non lo fanno sembrare assolutamente un disco di fine secolo. Dilatati, aperti, confusi... per niente definiti. Però attenzione: questi 68 minuti tutto sembrano tranne che pedestre imitazione. Diciamo che la band usava i pochi mezzi a disposizione per creare atmosfere darkeggianti, malinconiche e decadenti, il tutto con una ispirazione a tratti notevole! Strumentalmente i quattro erano tutt'altro che dei virtuosi e la prova del batterista Mikko Laine è quanto di più dozzinale si possa chiedere a un batterista: ascoltate certi stacchi o certi finali e converrete con me! Anche il modo di comporre risente - e lo dico con accezione positiva - di una certa inesperienza ed ingenuità, le partiture paiono provate e riprovate fino a trovare la nota giusta, le strutture sono molto umorali, senza schemi predefiniti... inoltre non ci sono dogmi da seguire o canoni da rispettare, se un assolo funziona lo si tira avanti per minuti, se ha già detto tutto in mezzo giro lo si tronca subito! E' un approccio che approvo in pieno e forse è per questo che apprezzo questo disco, pur non adorandolo. Certo che le atmosfere create da questi quattro giovanissimi ragazzi sono molto coinvolgenti: ascoltate a proposito la parte finale della lunghissima canzone che dà il titolo al disco! E che dire della successiva "Monolithos", con il suo bel giro di tastiera e chitarra, vanificato solo in parte da una esecuzione strumentale abbastanza approssimativa? Il clima che si respira è sempre teso e, anche quando la soluzione più immediata sarebbe quella di farsi prendere la mano dal riff e accelerare i tempi, i nostri preferiscono adagiarsi su tempi lenti e medi, preferendo atmosfere cariche di tensione e mistero. Le parti vocali, opera di Jukka Vourinen e dell'ospite Anna Pursiheimo, sono complementari alla musica e assumono spesso le sembianze di strumento aggiunto, in quanto tese anch'esse (e i frequenti e pesanti riverberi spesso usati lo confermano) a disegnare scenari oscuri e tetri. Assolutamente stupenda la parte iniziale di "Reaching Melancholiah", dark-doom ai massimi livelli. Le chitarre e il tappeto di tastiera creano abissi sonori allucinanti, nei quali si perde la nenia opprimente di Jukka. Dopo un intermezzo cantato dalla brava Anna si torna al tema iniziale, arrangiato però in modo più "disteso". Gran bel pezzo! L'album presenta comunque anche alcune variazioni, ascoltate ad esempio "Intra-Mental Ecstasy", quasi ambient (pensate a una versione demo di Enya!). Ritengo comunque non abbia senso smembrare questi lunghi 68 minuti di musica. Il mio consiglio per chi sia interessato ad entrare nel mondo dei Decoryah è quello di procurarsi il CD in questione e provare ad ascoltarselo tutto di fila (magari a luce spenta). E' un viaggio lungo, a tratti forse pesante, che vale la pena di essere compiuto. Se da un disco cercate pulizia sonora e formalità esecutiva, rivolgetevi però altrove... (Massimiliano Dionigi - "Shapelesszine")