recensioni dischi
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ADDICTED  "Lies love and laughter"
   (2008 )

Il mondo è bello perché è vario, lo si sa. Ed è così anche nel mondo del rock. Ora però si sta un po’ esagerando: fino a un decennio fa c’erano già, ovviamente, diverse accezioni del termine rock (progressivo, heavy metal, psichedelico…), ma si contavano sulle dita di una mano, al massimo di due. Ora nell’immenso calderone che è il rock contemporaneo pare ci sia spazio solo per milioni di sfaccettature e divisioni: alternative, gothic, jungle, noise, grunge, rapcore, combat, electro, indie, celtic, funkcore, roots, emo, industrial, darkwave, etno, garage… Potremmo andare avanti per giorni. Chi scrive è, sinceramente, un po’ stufo di questo andazzo, nel quale pare che il rock vero e proprio non basti a se stesso, come se fosse necessario rinnovarlo e, quindi, renderlo spurio ogni giorno un po’ di più. Poi mi capita tra le mani un disco come “Lies love and laughter” degli anglo-bergamaschi Addicted, e tiro un bel sospiro di sollievo. E meno male, mi viene da pensare, che c’è ancora chi fa rock. Puro, vero, solo vecchio rock. Senza volerlo, per forza, contaminare con chissà quale nuova tendenza: e facendolo alla grande, anzi alla grandissima. Cosa che, a ben vedere, fa nascere a chiunque qualche lecito sospetto: e se l’originale fosse meglio delle versioni successive? Se tanta fatica per cambiare il dna del rock fosse totalmente inutile? Ascoltatevi “Promised land”, o l’iniziale “Electricity (let me burn)”, oppure la robustissima “Fake”, o ancora la superba cover di “Rain” dei Cult, e manderete mentalmente a far cose innominabili chi passa le giornate a contaminare e complicare il rock. Dopo quello per i panda e per le foreste amazzoniche, oggi è stato aperto un centro per la salvaguardia del rock. Si chiama Addicted. (Andrea Rossi)