MICHAEL CRETU "Moon, light and flowers"
(1979 )
Volendolo paragonare ad un lavoro italiano, questo sta a quanto sarebbe diventato Cretu in seguito così come "Un po' di Zucchero", disco quasi rinnegato dal Fornaciari nazionale, sta ai suoi anni successivi. Lui era un buon ragazzo da studi discografici, già infiltrato in tanta roba di successo all'epoca (Boney M, per intenderci), arrivato in Germania dalla periferia di Bucarest, fornito di riccioloni e occhialacci che facevano tanto da boscaiolo mai toccato dalla civiltà. Ci provò di suo, all'esordio, con un disco tanto ingenuo quanto innocente, dove forse la cosa più interessante erano le copertine, autentico esempio di trash teutonico di fine seventies. Con un inglese ancora molto stentato e maccheronico, ebbe la modestia di aprire il disco con l'autobiografica "'57, the year I was born", e condurre poi il resto dell'album tra velleità epiche ("Song for unknown people", o "Fire and rain"), zuccherose lovesong ("Love me", dal testo che, sinceramente, ricorda le letterine che i bambini scrivono alla propria mamma), o una "Shadows" che poi, molti anni dopo, sarebbe stata ridefinita e riproposta con la voce della futuramata Sandra. Insomma, roba biodegradabile, che nemmeno l'autore ricorderà con particolar emozione, dove però si iniziavano ad intravedere, nascoste bene bene, quelle caratteristiche che sarebbero entrate nella lunga carriera del soggetto in questione. Epicità e melodia, in attesa che gli arrangiamenti diventassero più corposi e lui stesso capisse come veicolare il suo talento. D'altra parte, se dopo 30 anni il ragazzone è ancora vivo e vegeto, vuol dire che qualcosa, dietro la semplicità quasi adolescenziale di questo disco, c'era eccome. (Enrico Faggiano)