STEWART COPELAND "The rhythmatist"
(1985 )
Metà anni ’80. La parola d’ordine, mentre da un lato si viveva di tarda new wave e di british invasion, era “contaminazione”. Con l’Africa, in prima battuta, a diventare luogo dove andare a pescar novità, ispirazioni e quant’altro. Lui, cronologicamente parlando, poteva dire di esserci arrivato un attimo prima. Prima di Paul Simon e della sua “Graceland”, prima di Peter Gabriel e il suo “Realworld”. Aveva appena terminato l’esperienza con i Police, che con gli ultimi respiri concessi al popolo si erano, comunque, mostrati aperti a tante cose che venivano da fuori (d’altra parte, se agli inizi non si sapeva se mettere i loro dischi nel settore punk o in quello reggae, un motivo ci doveva essere), e invece di appendere le bacchette e la batteria al chiodo prese il suo camion, e scese nell’Africa Nera alla ricerca di qualcosa da registrare e da mixare assieme alle sue, di idee. Ne uscì, assieme alla collaborazione con l’artista franco-congolese Ray Lema, questo “ritmatista”, dove accanto a pezzi strumentali si viaggia di idiomi locali, altri in francese, e tanta “etnica” che forse, all’epoca, ancora non era diventata una moda forse anche congestionata e inflazionata. Si va da “Brazzaville” all’afroreggae di “Kemba”, magari spiazzando i vecchi fans, anche se tra le pieghe della polizia, inevitabilmente, si notava la voglia di aprire la finestra e fuggire dal fumo di Londra. Sting si sarebbe poi dato, tra sesso tantrico e viaggi in Toscana, a quella che è poi diventata la sua lunga carriera, più forse da icona che non da popstar. Stewart, invece, avrebbe continuato a battere le sue grancasse, conscio però di aver, con questo disco, collaborato a costruire un ponte che tanti altri, poi, avrebbero percorso. La ristampa recente di questo disco del 1985, quindi, merita un ascolto. (Enrico Faggiano)