SANDRA "The wheel of time"
(2002 )
Si era eclissata dalle scene musicali, quasi avesse preferito dedicarsi alle gioie della maternità che non cercare ancora di graffiare in un mondo che, ormai, la vedeva - a parte magari la natia Germania - come un dinosauro sbranato dalle gazzelle. Per quella triste consuetudine del mandare nel dimenticatoio tanti personaggi a prescindere dal valore musicale dei soggetti in questione. Lei peraltro non si era completamente dimenticata di come andare in classifica, dato che svariati spizzichi e bocconi di Enigma, la fonte di reddito casalingo a nome del marito, appartenevano comunque a lei. Però i tempi erano maturi, per riprovare a camminare con le proprie gambe, a sette anni dall'ultimo titolo da lei proposto ("Fading shades" del 1995): c'era stata una raccolta, tanto per tenere vivo il mercato, con qualche inutile remix di vecchi brani - ma se erano tanto piaciuti in origine, perchè cercare a tutti i costi di togliere le rughe ad una "Maria Magdalena" che stava benissimo anche senza? - a far tornar fame di Sandra. Che, alle soglie della quarantina, bene fece a cercar di bilanciare il proprio inconfondibile stile con la maturità di chi non poteva continuare a far roba di 15 anni prima, anche se il cerchio uscì quadrato, forse, per solo tre angoli su quattro. I ritmi vennero ulteriormente rallentati, pur se l'iniziale "Forgive me" faceva pensare diversamente, e il singolo d'esordio ("Forever") faceva ben capire che, più che al movimento del corpo, Sandra puntasse al movimento dell'anima. Il peccato originale di questo disco, forse, sta però nell'esubero di cover, tre su undici tracce, che sembrò un po' esagerato, per chi in fondo non tirava fuori qualcosa di inedito da tanto tempo. Ghiotto piatto per gli amanti degli anni '80, che riascoltarono "Silent running" e l'immortale "Such a shame" dalla voce di un'altra eroina dell'epoca, mentre più strano sembrò rimandare alle stampe "Free love", che i Depeche Mode avevano inciso solo pochi mesi prima. E, si sa, quando si va di reinterpretazioni, il sospetto di carenza d'altre idee è inevitabile. Il dilemma, però, restava quello solito di tutti i big di un decennio addietro: che fare, della propria vita? Provare a dimostrare di avere ancora qualcosa da dire, o limitarsi a far felice un pubblico che, per forza di cose, avrebbe voluto sentire all'infinito "In the heat of the night" e "Little girl"? Lei, come tutti gli altri: magari poteva anche avvicinarsi al microfono e cantare una non indifferente "Now!", ma alla fine, per far contenta la sala, serviva obbligatoriamente riproporre il riff di synth che apriva la sua Maria Maddalena. Peccato, perchè qualche piccola gemma, sparsa qua e là, la si poteva sempre trovare. (Enrico Faggiano)