PET SHOP BOYS "Fundamental"
(2006 )
Non erano stati particolarmente apprezzati quando "Release", nel 2002,
li aveva portati verso atmosfere più intimistiche - e poteva anche andar
bene - ma anche blandamente acustiche. Il mondo pareva averli
completamente messi da parte, anche se da più parti arrivavano loro
apprezzamenti per una carriera che era stata fonte di ispirazione per
tanti: Robbie Williams ne avrebbe decantato le lodi in un DVD
celebrativo, Madonna li volle con sè per i remix di "Sorry", e i fans
più fedeli avevano tirato un sospiro di sollievo quando, sentiti gli
inediti infilati in una raccoltona del 2004 ("Miracles" e
"Flamboyant"), avevano notato che si stava tornando sulla via
dell'elettronica mixata tra malinconia e allegria. E che di un ritorno
alle origini si trattasse lo diceva anche l'etichetta che apparve su
questo CD, all'uscita: "I Pet Shop Boys tornano elettronici", o giù
di lì. Il popolo approvò, tanto che i singoli "I'm with stupid" e
"Minimal" tornarono ad avere irradiazione radiofonica nella natia
Britannia. Anche se la prima era una feroce ironia verso Tony Blair (lo
stupido della situazione, infatti, era George Bush) e la seconda una
roba che, sentendola per radio, faceva pensare ad un viaggio nella
macchina del tempo. Tutto "Fundamental" viaggia su binari di una disco
forse ingiustamente relegata al kitsch da discoqueer ("The Sodomah and
Gomorrah Show", "Integral" in primis), ma il risultato è ben oltre il
gradevole, con i soliti passaggi più lenti ("Casanova in hell", "Luna
park", "Indefinite leave to remain") a far da contraltare ai momenti
più divertenti. Però, forse, la chicca migliore stava nel cd presente
nella deluxe edition, che comprendeva remix e inediti ("In private",
tra gli altri, roba che nemmeno Elton John e Ru Paul). Si trattava di
"Fugitive", forse la miglior composizione dei PSB da molti anni a
questa parte, qualcosa che fosse uscito come singolo nel 1987 avrebbe
venduto anche più del multimilionario "It's a sin". Ok, qualcuno
poteva gridare al fatto che dopo 20 anni sempre degli stessi suoni si
trattasse. Ma era anche vero che, questo genere, è roba che avevano
inventato loro, per cui la critica era inevitabilmente da rimandare al
mittente. Qui c'è tutto quello che dal duo inglese vi aspettate, ed è
un peccato che, dopo anni di successi, il loro genere sia stato
ghettizzato come musica gay: non lo era 20 anni fa, non lo è adesso. Ma
le etichette, ahinoi, non si possono staccare. (Enrico Faggiano)