recensioni dischi
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NICCOLO' FABI  "Il giardiniere"
   (1997 )

In un periodo di certo fulgore della musica italiana alla fine dei '90s, sbocciò anche lui. Romano, come tanti di quella infornata (ma si è sempre andati a periodi: qualche anno prima, se non dimenticate, ci fu l'assalto dei toscani tristi, da Masini a Vallesi per passare poi a Canino e Baldi) che avrebbe poi dato classifiche ai Gazzè, Britti, Zampaglione, varie ed eventuali, Niccolò Fabi non partiva però con buone recensioni: nipote d'arte, raccomandato, si diceva, e già questo faceva temere il peggio. Però seppe subito emanciparsi dalle dicerie, ritagliandosi un posto nel pop radiofonico del 1997. Formula molto semplice, un crossover che guardava molto agli anni '80 per camminare poi su un ponte che voleva essere cavalcato fino alla fine del millennio: elettronica e acustica, testi apparentemente da banale filastrocca ma invero non proprio immediati, e il physique du role per chi volle andare a Sanremo, con zazzera riccioluta, a cantar dei suoi "Capelli". Sarebbe bastato poco per cadere nel trash, ma la roba era di qualità. E tutto il suo album d'esordio era un microcosmo di piccole cose, così come si era sentito già dal primo singolo, "Dica", che precedette di qualche mese l'esperienza nel Sanremo di Mike Bongiorno (uno che, a parlar di capelli, poteva anche sentirsi preso in giro, visto il siamese che si porta sulla zucca). E i calembour dialettici erano tanti, così come nella titletrack, o in una cosina come "Parlami sempre" che sarebbe piaciuta forse anche a Vince Clarke, o in "Rosso", specie di versione anni '90 di "Vengo anch'io no tu no". Ce n'era per salutare un piccolo gioiellino che sfamò gli airplay radiofonici per quasi un anno, e che fece gridare al miracolino. Lui? Andò avanti per la sua strada, trainò - non solo figuratamente, vedi il video di "Vento d'estate" - Max Gazzè alla popolarità, ma forse pagò l'eccesso di intimismo delle sue liriche: poteva farlo Luca Carboni, che con uno sguardo da fighetto ammaliava le pupe, riusciva difficile al Niccolò, che brutto non lo era, sia chiaro, ma non proprio da strappamutande, ecco. (Enrico Faggiano)