recensioni dischi
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JOHNNY CLEGG & SAVUKA  "Shadow man"
   (1988 )

Momento di grande fervore etnico, i tardi '80. E soprattutto l'autunno 1988, quando non solo ci fu l'esplosione internazionale della star israeliana Ofra Haza ("Imininaaaaaluuuuuuu", per intenderci), ma molti si girarono verso l'Africa. Molto, molto a sud. Soprattutto per una questione politica, dato che la musica si mosse per sollecitare, il prima possibile, la fine dell'apartheid in Sudafrica e la liberazione di Nelson Mandela. A fagiolo capitava questo "zulu bianco", che aveva fatto buone cose con il suo gruppo precedente (i Juluka), e che aveva avuto già un assaggio di classifica con una "Scatterlings of Africa" di un anno prima. Johnny Clegg, muscoloso e con faccione che se fosse uscito dalla provincia USA avrebbe potuto diventare un ottimo bassista di gruppo nu-metal, proprio non ne voleva sapere di fare il bianco, roba da pazzi nel Sudafrica ancora diviso: suonava con i neri, ballava con i neri, e parlava la lingua dei neri. E, proprio non potendo fare il percorso inverso a quello appena intrapreso da Michael Jackson, poteva se non altro ballare con una metà del corpo pitturata di nero. Chiaro, difficile che potesse fare il profeta in patria, ma "Take my heart away" ebbe ottimo successo fuori dai confini, e tutto l'album fu un discreto bignamino per chi, dopo "Graceland" di Paul Simon, voleva sapere cosa stesse suonando nell'Africa australe. Sarebbe poi arrivato Peter Gabriel e la sua Real World, sarebbe arrivata la moda dell'etnico, ma lui fu, e non poco, un eccellente apripista. Altri successi negli anni successivi ("Cruel crazy beautiful world" del 1990, sopra tutto), poi forse la fine dell'apartheid, e quindi la fine del movimento di pensiero pro-Mandela, ne limitò gli sforzi. Ma il più lo aveva già fatto. (Enrico Faggiano)