recensioni dischi
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INTERPOL  "Turn on the bright lights"
   (2002 )

Questi ultimi anni, caratterizzati da uno sviluppo scientifico-tecnologico incessante, ci hanno mostrato, almeno a livello musicale, un fenomeno piuttosto strano. Ci troviamo infatti di fronte ad ondate di dischi che guardano al passato come un punto di riferimento ineluttabile e prominente. Una vera mania per il revival ha contagiato una fetta abbondante della scena rock. Non mancano i gruppi che si discostano dalla corrente e tentano soluzioni nuove. Ma tali realtà si infrangono spesso contro il muro dell’indifferenza del pubblico e, seppur forti di idee geniali e talento, non riescono ad influire significativamente sul panorama artistico contemporaneo. Questa problematica va ricercata soprattutto in un mercato che tende a premiare i prodotti più ruffiani e commerciali. È quindi davvero difficile riuscire a creare un suono appetibile ma non scontato, divulgabile ma originale. Nasce da questa esigenza il New Rock, cioè una ondata amplissima di revival rock, aggiornato però ai giorni nostri. Si potrebbero fare decine di nomi: White Stripes, Arcade Fire, Bloc Party, ma anche la nuova scena folk, ampia ed interessantissima. Discorso a parte meritano gli Interpol, punta di diamante del movimento, che con la loro formula a metà tra la New Wave e la musica Dark più romantica hanno saputo raccogliere un grande successo di critica e pubblico. Approfondendo l’aspetto musicale, è interessante notare come i quattro, seguendo le loro peculiarità e senza mai forzare la mano, siano riusciti a riproporre in modo coerente i suoni glaciali della New Wave, nelle chitarre fluttuanti di Daniel Kessler e nel vociare scomposto e catramoso di Paul Banks, ma abbiano al contempo saputo amalgamare il tutto in una ragnatela ipnotica di eco tenebrose, dettate a volte dallo stesso Banks, altre volte dalle tastiere plumbee di Carlos Dengler. Sam Fogarino completa il quadro con le sue ritmiche frenetiche e sfiancanti, in puro stile Wave. I punti di riferimento più evidenti sono i Joy Division, soprattutto nel timbro vocale cavernoso ed i Television per quanto riguarda i riff taglienti e claustrofobici. Va tuttavia puntualizzato che la struttura delle canzoni assume in questo lavoro forme assai diverse da quelle degli illustri ispiratori, in quanto tende a mantenere intatta la semplicità ed immediatezza del rock'n'roll più viscerale, lasciando perdere i deliri psichedelici alla Television. Molto significativo il brano iniziale, “Untitled”, in cui la trama fitta di chitarra è minuziosamente modellata da riverberi elettronici. “Obstacle 1” riprende in modo chiaro l’approccio pungente di Verlaine alla chitarra. “PDA” si sofferma maggiormente su atmosfere cupe, mantenendo però uno stile frenetico e vivace. Vanno segnalate in tal senso “Say Hello To The Angels”, movimentato boogie al cemento, e “Obstacle 2”, tempestoso sovrapporsi di voce e chitarra, che esplode straniante e penetrante. “Roland” ci offre una prospettiva più impressionistica e sfumata. Non mancano episodi meno veementi; “Hands Away” è un ibrido sublime tra l’ipnosi degli archi e l’insistenza della batteria. “Stella Was A Diver And She Was Always Down”, nonostante la ritmica molto viva, mantiene uno spleen tipicamente dark. “The New” rincara la dose di malinconia. L’episodio più fluttuante ed evocativo arriva tuttavia nel finale; “Leif Erikson”, spettrale e vacua. “NYC” è la vetta assoluta dell’album, coi suoi 4 minuti di commozione pura, in cui ci si dimentica dei generi musicali e ci si abbandona alla poesia della voce di Banks, incerta e vibrante, splendidamente accompagnata da un tessuto musicale morbido, inusuale per il gruppo. È una prova di assoluto valore quella che ci mostrano gli Interpol con questo brano, che rimarrà come un chiodo conficcato nella storia della musica. “Turn On The Bright Light” è quindi un disco ottimo, uno splendido compromesso tra un citazionismo mai gratuito ed una fertilità artistica assolutamente non trascurabile. Un lavoro che, seppur omaggiando chiaramente il passato, sa proiettarsi verso il futuro, soprattutto grazie alla forte personalità della band, che qui emerge prepotente. Il songwriting è solidissimo, le idee sembrano chiare e azzeccate, non ci sono pause di noia o compiacimento. Un caposaldo del Rock targato ’00. (Fabio Busi)