PAUL YOUNG "The secret of association"
(1985 )
Ah, i bei tempi degli anni ’80: mica come adesso, che se ti innamori di un qualche artista nuovo, dal primo al secondo disco ti va bene se passano meno di due anni. All’epoca non c’era spazio per respirare, per i poveri prodotti che avevano l’ardire di diventare famosi: disco, singoli, video, promozione, tour, ricerca di successi americani, e intanto subito di nuovo a incidere un nuovo “33 giri” (sigh!) perché il mercato non poteva aspettare. E’ poi chiaro che se qualcuno, un giorno, battezzò il famoso proverbio della gatta frettolosa, un motivo ci doveva pur essere: Paolo Giovane (come si presentò in uno spot dell’allora quasi neonata Videomusic) iniziò a sentire fatica alle corde vocali, e se a questo si aggiunse la difficoltà di tenere alto il livello delle sue canzoni – delle sue cover, meglio dire – ecco spiegato il perché di tante piccole beghe. Eppure le cose non erano partite male: un singolo, “I’m gonna tear your playhouse down”, che sembrava una felice appendice delle cose precedenti, addirittura la voce che iniziava il miliardario singolo di beneficienza “Do they know it’s Christmas”, precursore di tutti gli usiforafrica e compagna bella. Poi qualcosa cambiò: intanto, le sue due coriste vennero sostituite da voci ancor più nere, spostando il suo target ancora più verso l’abbronzatura, e non facendo poi tanto felici i suoi fans della prima ora. In seguito, magari il boom di un certo soul bianco gli mise accanto svariati concorrenti, e tra una cover (“Everytime you go away” in particolare) e l’altra, l’album non andò nemmeno tanto male, ma lo vide chiudere esausto, esaurito, quasi senza ulteriori idee. Ci sarebbe stato un altro lavoro (“Between two fires”, l’anno successivo), ma la china stava scendendo, misteriosamente. E nemmeno l’opera di aiuto reciproco con l’allora astro nascente Zucchero lo avrebbe aiutato: così è, se ti pare. (Enrico Faggiano)