recensioni dischi
   torna all'elenco


THE DOORS  "Morrison Hotel"
   (1970 )

Nel 1970 venne pubblicato il quinto disco in studio della band, “Morrison Hotel”. Un lavoro che, seppur non riuscendo a ripristinare la misticità delle origini, mostra un discreto miglioramento qualitativo, oltre che un furbesco cambio di rotta. Si vira decisamente su suoni più duri, cavalcando l’onda dell’hard rock allora neonato.

I Doors, che avevano anticipato la corrente con alcuni gioielli al vetriolo quali “Break on Through” o “Love Two Times”, si trovano ora costretti ad inseguire la moda per fare successo. Poco male, meglio un disco privo di originalità, ma ascoltabile, che il contrario. Non mancano le eccezioni, come la noiosa e ridondante “Blue Sunday”, o la dozzinale “Land Ho!”, ma la sensazione che prevale è un contenuto ma deciso senso di piacevolezza ed interesse.

Le vedute desertiche di “Indian Summer”, la corsa sinuosa di “Queen of the Highway”, gli abbozzi folk blues di “Maggie McGill”, i giochi amorosi di “The Spy” sono tutti prodotti del carniere Doors, solo lievemente aggiornati. Ciò che invece stupisce è la veemenza animalesca di altri brani. La rapida e pungente “You Make Me Real” è un trip allucinogeno come non lo si sentiva dai tempi di “Soul Kitchen”. Stesso discorso per “Ship of Fools”, che ricorda i soli febbrili del Manzarek di tre anni prima.

La secca e ben scandita “Peace Frog” è un boogie fluorescente, di ottima fattura. “Waiting for the Sun”, brano scartato dall’omonimo disco, è uno dei momenti migliori dei Doors. Una nenia spettrale che esplode in un ritornello epico. Tuttavia l’immortalità tocca alla traccia di apertura, quell’hard rock mischiato al country che ha fatto la fortuna di “Roadhouse Blues”, non solo il capolavoro del disco, ma anche uno dei pezzi più famosi e caratteristici dei quattro.

Troviamo infatti tutte le prerogative del gruppo. Un riff assassino, il vociare disordinato e scabro di Morrison, i fraseggi alle testiere, la ritmica insistente ed una forte atmosfera bucolico – selvaggia. “Morrison Hotel” è un lavoro che lascia quindi ben sperare in una rinascita. Non è un disco eccelso, ma siamo fortunatamente ben lontani dalla sterilità e dalla noia di “The Soft Parade”. (Fabio Busi)