THE CURE "Trilogy"
(2003 )
A due anni dalla pubblicazione di 'Bloodflowers' (2000), dopo aver concluso splendidamente il 'Dream tour', Robert Smith affermava che l’ultimo lavoro in studio dei Cure doveva essere posto a conclusione di una trilogia dark avviata con 'Pornography' e proseguita con 'Disintegration'. Partendo da questo assunto ed invogliato dalle ottime performances tenute dalla band nel corso degli ultimi concerti, il leader dei Cure voleva concretizzare dal vivo un progetto assolutamente straordinario: riunire i tre album ed eseguirli davanti ad un pubblico; 'Trilogy', appunto. Il primo punto di riflessione è se tra i tre album esista davvero un leit motiv o se, invece, si debbano considerare capitoli separati ancorché straordinari della discografia-Cure. Certamente 'Pornography', 'Disintegration' e 'Bloodflowers' hanno in comune l’essere album fortemente intimisti ed introspettivi. I primi due, inoltre, sono considerati praticamente all’unanimità come i migliori della banda Smith, mentre 'Bloodflowers' è indubbiamente un’opera eccezionale che ha solo il “difetto” di essere molto più giovane dei suoi predecessori e, probabilmente, solo fra qualche anno potrà essere apprezzato appieno per il suo reale valore. La città scelta per questo evento è Berlino; l’arena il Thermperdon. Poteva essere Londra, ma i nostri avrebbero giocato troppo in casa; poteva essere Parigi, capitale amata profondamente dal sig. Smith; non sicuramente gli Stati Uniti, meno legati al versante più propriamente dark dei Cure e, comunque, già omaggiati con il live di 'Show'; la scelta, invece, ricadde sulla capitale tedesca, da sempre permeata da un fortissimo alone gotico. La copertina ritrae il padrone della “cura” davanti ad un microfono e, in basso, gli altri membri della band, tutti impegnati durante l’esibizione in oggetto. Il formato prevede due dvd (in realtà venne anche distribuito, successivamente, in vhs). Il primo disco è riservato agli album del 1982 e del 1989, mentre il secondo è riservato a 'Bloodflowers', oltre che alle interviste di rito. Le immagini sono impeccabili e ritraggono i protagonisti in forma e determinati. Le riprese non sono eccessivamente caotiche, scongiurando così il rischio di quelle immagini in stile MTV, pensate appositamente per ragazzini ultra agitati. Poco, invece, deve essere dedicato alla scaletta che, come già anticipato, rispecchia fedelmente quella dei lavori in studio. La band è quella già ampiamente rodata dal 1995: Robert Smith (chitarra e voce), Simon Gallup (basso), Perry Bamonte (chitarra e tastiere), Roger O’Dennell (tastiere) e Jason Cooper (batteria). Poche sorprese, allora, per l’inizio dello show. E’, ovviamente, 'One hundred years' che apre con assoluto tempismo. La band è al massimo; conosce alla perfezione ogni singolo istante di un pezzo troppo importante per non essere vissuto con trasporto collettivo. Anche a distanza di anni, 'One hundred years' rimane un delizioso pugno nello stomaco, uno sputo in faccia ad ogni tipo di compromesso e di perbenismo di qualsiasi genere. In generale tutta l’esecuzione di 'Pornography' spicca per particolare vigore ed intensità. Non un accenno di flessione; mai un momento di calo. Nessun pezzo (ma questo già lo sapevamo) è un riempitivo e nulla è superfluo. Una nota a parte merita 'Cold', forse l’interpretazione più alta di 'Pornography'. Emozioni altissime, azzeramento di ogni tipo di speranza, l’inizio di un viaggio pessimista e di non ritorno. La traccia omonima, infine, chiude la prima parte dello spettacolo e, tra gli applausi, Robert Smith promette al pubblico che ci si rivedrà fra sette anni. È tempo della 'disintegrazione'. È la 'Canzone semplice' che riapre lo show berlinese e, anche in questa occasione, si raggiunge una delle vette più alte di un concerto dei Cure. È poi il momento di 'Pictures of you' con il consueto duetto Robert/Simon, rispettivamente alla chitarra e al basso, durante l’intro strumentale. Le immagini riescono ad immortalare le occhiate che i due si scambiano e, credetemi, da sole valgono il prezzo del biglietto (o del dvd, se preferite). Gli altri pezzi scorrono senza intoppi con rinnovata grande intensità. Segnaliamo, in 'Lullaby', l’altrettanto consueto mimo di Robert che, tra la folla in ovazione, simula lo 'spiderman' della canzone. 'Disintegration' si avvia, così, verso l’epilogo e Robert Smith è pronto per eseguire l’ultimo capitolo. È tempo di regalare al suo pubblico 'fiori di sangue'. 'Out of this world' rappresenta la dolce premessa di 'Bloodflowers', l’introduzione di un album che autori e pubblico conoscono già perfettamente. I pezzi, anche per l’album del 2000, si susseguono con puntuale impeccabilità secondo la fedele scaletta del vinile (per l’esame dei pezzi si rimanda, anche per questo caso, alla scheda del lavoro in studio). Una nota a parte, probabilmente, merita '39', in cui il capobanda ritrova energie ulteriori per eseguire il pezzo migliore di 'Bloodflowers'. Potenza e suggestione, rabbia e malinconia, cantate e suonate al massimo. Il gruppo, per i bis, decide di fare due autentici regali, ripescati entrambi dal 'Kiss me album' del 1987: 'If only tonight we could sleep' e 'The kiss'. Tanto la prima è perfetta nella sua atmosfera dark e nelle sue liriche, tanto 'The kiss' risulta essere ineguagliabile per potenza e carica, quasi a rappresentare un pugno nello stomaco a tutte quelle “belle” nuove band che dopo un’oretta di concerto sono pronte per il saluto. L’intensità dei protagonisti; Robert ripiegato su se stesso durante l’interminabile acido assolo della sua chitarra elettrica; Simon a schizzare da una parte all’altra del palco; il resto del gruppo intento a non perdere nemmeno un colpo… Questo e anche di più! Si può essere fan, o semplicemente detestare, quel grosso ragazzo/uomo in nero, ma è anche vero che 'Trilogy' dovrebbe essere visto da chi ascolta e segue le band da “un’ora e via”. Eh già, questa è proprio un’altra storia. (Gianmario Mattacheo)